Durante gli anni '70, come la maggior parte dei Paesi occidentali, l'Italia è stata interessata da un forte rallentamento dell'economia a causa della crisi petrolifera (anni '73-'76) che rivoluzionò la situazione economica del Paese. Lo Stato fu costretto ad affrontare una maggiore spesa per sostenere coloro che non riuscivano a trovare un lavoro e a sostenere le imprese in crisi; ciò ha contribuito a generare una situazione difficile per la finanza pubblica e a determinare un forte aumento del debito pubblico. Per correre ai ripari l'Italia, alla fine degli anni '80, ha iniziato a realizzare riforme per correggere il proprio bilancio, basandosi soprattutto sull'inasprimento della pressione fiscale.

A partire dagli anni '90, i vari governi che si sono succeduti hanno attuato riforme strutturali nel settore previdenziale italiano, da sempre in bilico per vari problemi di equilibrio di bilancio e, da allora, i legislatori non si sono più fermati.

Riforme inutili

In Italia, fra le tantissime riforme inutili, oltre all'ultima in ordine di tempo de #labuonascuola, vanno conteggiate anche quelle perenni riferite alle Pensioni. Il sistema pensionistico, almeno in Italia, è del tutto fuori controllo e paga più pensioni dei contributi che incassa. Da qui la necessità di una riforma del sistema pensionistico e, ogni volta, il governo in carica ci convince che è per il nostro bene, per quello dei nostri figli e per le generazioni future.

Dagli anni '90 ci dicono sempre la stessa cosa e, infatti, di riforme pensionistiche in Italia ne sono state fatte ben sette: Amato, Dini, il DL 47/2000, Maroni, il DL 252/2005, Prodi e, per ultimo, quella di Monti con la famosa 'riforma Fornero'. Da precisare che il nuovo presidente Inps, Tito Boeri, qualche giorno fa ha annunciato la necessità di varare una nuova riforma del sistema.

E così arriveremo a otto riforme pensionistiche in vent'anni.

Un sistema pensionistico sbagliato

Il problema pensionistico attuale si basa su un sistema sbagliato, andrebbe riformato nel senso completo e non mettendo una pezza qua e là quando serve, perché è questo che facciamo da vent'anni a questa parte: rattoppiamo un sistema che fa acqua da tutte le parti.

Nel nostro Paese il sistema pensionistico pubblico (INPS e altri enti minori) è strutturato secondo il criterio della ripartizione, ciò significa che i contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza vengono utilizzati unicamente per pagare le pensioni di coloro che sono andati in quiescenza. Quindi, per far fronte al pagamento delle pensioni future, il sistema attuale non prevede alcuna raccolta di ulteriori fondi di riserva.

La 'menzogna' previdenziale

A questo punto, chi dice che la riforma pensionistica viene attuata per garantire le pensioni future, mente sapendo di mentire. Con la disoccupazione in aumento, l'allungamento delle aspettative di vita e quello dell'età pensionabile, portano inevitabilmente a devastanti conseguenze.

Da un lato l'innalzamento dell'età pensionabile erode i posti di lavoro per i giovani, dall'altro l'aumento delle aspettative di vita impone al sistema un gettito gravoso a lungo termine. Anche innalzare l'età pensionabile a 67 anni non serve a granché, un pensionato potrebbe vivere tranquillamente con la sua pensione per almeno altri vent'anni, cioè quasi la metà del periodo in cui ha lavorato e contribuito.

Da questo possiamo comprendere quanto il sistema pensionistico italiano non sia in grado di reggere, costringendo i vari governi a 'rattopparlo' ogni triennio, come minimo, e lasciare il vero problema a chi verrà dopo. E il vero problema è che il sistema prima o poi collasserà e non ce ne sarà più per nessuno.