Pochi giorni fa è stata pubblicata una nuova sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (numero 23866/16) relativa alle conseguenze della stipulazione, reiterata per oltre 36 mesi, dei contratti a termine nella Scuola. La pronuncia è in linea con le precedenti pronunce, emanate il 7 novembre scorso: in sostanza, la Corte esclude non solo la possibilità di conversione dei contratti di lavoro a termine (ed a tale conclusione era già giunta la giurisprudenza di merito prevalente), ma anche il risarcimento del danno, che invece sino ad oggi molte Corti di Appello avevano concesso, in misura variabile, nella stragrande maggioranza delle fattispecie.

Ad esempio, la Corte appello Firenze ha liquidato ben 12 mensilità a titolo di danno/sanzione, anche se il docente era stato immesso in ruolo nelle more del giudizio (sentenza numero 493 del 24.05.2016).

Inversione di tendenza

Con quest'ultima sentenza della Suprema Corte, il cui principio d’ora in poi sarà applicato nei gradi di giudizio di merito (primo grado ed appello), si è stabilito che l’avvenuta immissione in ruolo, “cancella” le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Non solo: nessun risarcimento può essere attribuito neppure a chi, essendo inserito in graduatoria ad esaurimento, pur essendo rimasto precario, ha comunque «certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego».

Una eventuale domanda di risarcimento per danni ulteriori e diversi da quelli eliminati per effetto dell’assunzione, è ancora in teoria proponibile, ma con onere della prova a carico del docente, il che ne rende difficile il riconoscimento.

Chi può fare ancora ricorso e avere qualche possibilità di successo?

Sicuramente i docenti inseriti in graduatoria di istituto di seconda e terza fascia, nonché la stragrande maggioranza dei docenti di religione (che non hanno più avuto un concorso per il ruolo da circa 12 anni).

Chi rientra nella prima categoria, però, difficilmente può avere prestato oltre 36 mesi di servizio su posto vacante e disponibile in organico di diritto, come la sentenza della Cassazione richiede, trattandosi di docenti con nomina dei dirigenti scolastici, che difficilmente va oltre il 30 giugno. La categoria dei docenti di religione, invece, ha qualche chance di successo di ottenere il risarcimento, venendo nominati in gran parte su posti liberi in organico (sino al 31 agosto).

Per tale categoria, dunque, sarebbe necessario provvedere ad un piano di assunzioni a tempo indeterminato, pena la violazione del diritto comunitario.

Buona notizia per i precari della scuola

C’è infine anche una buona notizia per i precari: alla luce della sentenza della Cassazione, che fine farà la disposizione normativa prevista dal comma 131 dell’articolo 1 della legge 107/2015, secondo cui dal 1° settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo ed Ata presso le istituzioni scolastiche ed educative statali «per la copertura di posti vacanti e disponibili» non possono superare la durata complessiva di 36 mesi, anche non continuativi? In base all’interpretazione fatta propria dalla Cassazione, se è vero che le supplenze su organico di fatto (al 30 giugno) e quelle temporanee non configurano alcun abuso del diritto comunitario, allora è anche vero che il comma 131 resterà di fatto lettera morta, essendo applicabile solo ai rarissimi casi in cui un supplente non inserito in Gae, abbia avuto la possibilità (e, forse, la cattiva idea) di farsi nominare per ben tre anni su supplenza annuale al 31 agosto. Per le supplenze al 30 giugno o brevi, tutto come ai vecchi tempi: nessun limite e nessuna sanzione effettiva.