Sulla Buona Scuola ne sono state dette tante, ma quello che emerge dalle ultime notizie probabilmente è un aspetto della riforma passato in sordina fino alle recenti cronache: l’alternanza scuola lavoro. SI tratta, per chi non la conoscesse, di una dinamica di “avvicinamento dei giovani al mondo del lavoro” che si concretizza con l’espletamento di un certo numero di ore in attività lavorative attivate presso le aziende convenzionate. Si tratta probabilmente del culmine del processo di aziendalizzazione della scuola che, allo stato attuale delle cose, si traduce in un inedito fenomeno di sfruttamento legalizzato e per giunta minorile.

L’aziendalizzazione della scuola

Che la Buona Scuola si faccia mezzo di rottamazione di tutto ciò che formazione, scuola e istruzione non è certo novità ma con il completo dispiegarsi di tutti i suoi aspetti si inizia a prendere coscienza di ciò che, almeno in un primo momento è passato in secondo piano. Premesso che già da un ventennio a questa parte la scuola italiana è stata oggetto di un progressivo fenomeno di aziendalizzazione che l’ha trasfigurata in azienda erogatrice di abilità e competenze, si appresta ora definitivamente a prostrarsi alle logiche di mercato che spesso e soprattutto in Italia sono sinonimo di sfruttamento. Stiamo parlando, come anticipato, dei commi 33 e 41 del decreto Buona Scuola che prevedono la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro” che molti studenti (e i docenti stessi) stanno per iniziare a sperimentare.

Alternanza scuola-lavoro: lo sfruttamento legalizzato

Si tratta praticamente di un vero e proprio sfruttamento legalizzato che obbliga gli studenti minorenni a prestare attività lavorativa non retribuita per un periodo variabile tra le 200 e le 400 ore (rispettivamente per licei e istituti professionali), per una media di circa 38 giornate lavorative full time.

A gestire questi rapporti sarà personalmente il dirigente cui spetterà l’onere di individuare le aziende disponibili e concordare l’attivazione di tali percorsi di alternanza. Il periodo lavorativo si svolgerà ovviamente durante la sospensione della didattica e rigorosamente in azienda, in modo tale da far abituare i giovani alla realtà aziendale e a inquadrarli fin dall’adolescenza nel ruolo spersonalizzante dell’ingranaggio aziendale.

Ma se da una parte è purtroppo vero che l’istruzione italiana è ancora troppo distante dal fornire le competenze che il mondo del lavoro richiede finendo troppo spesso per far dilapidare anni di vita in una formazione che, professionalmente parlando, si rivela inutile alla realtà dei fatti, è pur vero che una “pura estorsione di pluslavoro non retribuito” – riprendendo la definizione di Diego Fusaro del Fatto Quotidiano – risulta oltre che ancor più inutile, forse addirittura criminale.