A seguito delle amministrative del 5 giugno, sembra essere tornati indietro di qualche anno. Si è rifatta viva quella orrenda abitudine, tutta di sinistra, di frammentarsi, lasciando così il campo libero alle altre forze in campo. Da Roma a Milano, a Napoli, ma ricordando anche l'elezione per il presidente della Liguria dello scorso anno. Vero è che il maggior partito di questa fazione, il Pd, non stia vivendo un momento particolarmente brillante, ma è altresì vero che ilpopulismo vacuo del M5S sta prendendo piede in maniera possente, raccogliendo voti da destra e da sinistra.

Storia dell'harakiri di sinistra

Si potrebbe partire dalle elezioni politiche del 2001, dove il centrosinistra si presentò con Rutelli candidato, tornata elettorale in cui ottenne il 35,8%, contro il 49,56 % della destra, guidata da Berlusconi. Niente di anomalo, ovviamente, se non fosse che tal Fausto Bertinotti decise di candidarsi autonomamente con Rifondazione Comunista, prendendo il 5,03% dei voti. Rimandiamo a dopo le considerazioni politiche ed eziologiche di questi comportamenti, ma il dato di fatto è che, insieme, la sinistra avrebbe ottenuto un buon 40%, evitando di lasciare il Parlamento alla mercè dell'autoreferenzialismo berlusconiano di quella legislatura.

Le politiche del 2006 hanno invece visto una pagina "felice" per la sinistra: unendosi in coalizione sotto l'egida di Prodi (ulivo, rifondazione, idv, verdi, rosa nel pugno del transmigrante Capezzone ecc) la sinistra ottenne il 49,8% contro il 49,7% di Berlusconi.

Nel 2008 PD-IDV presero il 37,6%, il cdx il 46,8%, con il recidivo Bertinotti che si isolò con Sinistra Arcobaleno, togliendo di fatto il 3.1% alla coalizione di sinistra.

Eclatante fu il caso della Liguria, dove vinse la destra con Toti, solo perchè la sinistra si presentò con due candidati.

Arriviamo al 2013, dove l'exploit del M5S ha sì cambiato le carte in regola, ma la discriminante è stata l'ennesima scissione della sinistra.

Ingroia si candidò con Rivoluzione Civile, ottenendo il 2,2%, non ottenendo nemmeno un seggio. Un 2.2 che, sommato a quelli di PD e SEL, avrebbe consentito alla coalizione di centro-sinistra, di aggiudicarsi la maggioranza anche al senato, che poi fu quella che mancò per la fiducia al governo Bersani.

Amministrative e ballottaggio: siamo ancora in tempo

Le partite più importanti alle amministrative sono Roma e Milano. Soprattutto a Roma, la sinistra si è presentata unita sotto la coalizione di Giachetti, fatta eccezione per il buon Fassina, che ha ottenuto il 4% da solo.

Due considerazioni: la prima è relativa alla nuova legge elettorale, che non permetterà coalizioni, garantirà governabilità, oltretutto con una modalità assolutamente analoga a quella dell'elezione dei sindaci. La seconda, più che una considerazione, è un appello.

Appello alla sinistra, quella decentrata, quella del non-PD. A Roma Fassina dovrebbe spostare i suoi voti su Giachetti, candidato PD. Ovviamente ne parleranno, magari chiedendo un assessorato, da mestieranti antichi della politica.

Ma oggi è quantomai necessario fare questa operazione, per evitare che il populismo a 5 stelle dilaghi definitivamente. L'ultimo argine è la sinistra, tutta. Fassina dovrebbe dichiarare le proprie intenzioni, non muoversi sottobanco.

Divisa, la sinistra consegnerà il paese, la capitale e numerosi comuni all'inadeguatezza del M5S. Basti vedere Civitavecchia, comune a 5 stelle, il più tassato d'italia, o Livorno, o Quarto, con problemi di voto mafioso, o Ragusa. Insomma, possiamo immaginare cosa combinerebbe la Raggi, pardon, il suo staff, in una città problematica come Roma.