Immaginate per un attimo di non aver mai sentito parlare prima di oggi di Donald Trump. Provate a dimenticare le polemiche su razzismo, xenofobia, misoginia. Pensate che le sue ‘sparate’ istrioniche, e a volte sconcertanti, non siano mai esistite e concentratevi sulle parole e i concetti pronunciati il 20 gennaio 2017, giorno del suo insediamento a Washington nelle vesti di 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Nel video qui sotto, che raccoglie, sottotitolati in italiano, i passaggi più importanti del suo discorso di investitura di appena 1500 parole (contro le 2500 del primo Obama nel 2008), emerge la vena ultrademocratica - almeno nelle promesse contro l’establishment e verso il popolo - del tycoon multimiliardario newyorkese.

Un discorso conciso che, se pur tacciato di populismo, nazionalismo e odio per gli immigrati dai molti detrattori, riempie di speranza gli americani che lo hanno votato e i ‘populisti’ di tutto il mondo che vorrebbero imitarne le gesta.

L’apertura del discorso è dedicata, secondo la tradizione, al ringraziamento dovuto al predecessore Barack Obama e alla moglie, ormai ex first lady, Michelle, per il comportamento tenuto durante questi mesi di passaggio di consegne alla Casa Bianca (nessun accenno ai ‘dispetti’ di Obama come nel caso del cyberspionaggio russo o della liberazione di Bradley-Chelsea Manning, la gola profonda di Wikileaks amico di Julian Assange). Preambolo a parte, l’inizio è col botto perché, sostiene Trump, non si tratta di un semplice alternarsi tra due diverse amministrazioni, ma di un trasferimento di potere da Washington “per restituirlo al popolo”.

Trump accusa la classe politica, che definisce “establishment” di essersi arricchita mentre i posti di lavoro continuavano a scomparire e le fabbriche chiudevano, di aver fatto, insomma, solo i propri interessi a spese del popolo. Politici che festeggiavano a Washington i loro autoreferenziali successi, mentre nelle case dell’americano medio montava la frustrazione.

Dal 20 gennaio, promette il neo presidente, tutto è cambiato perché le persone ‘normali’ tornano padrone del loro destino. Il tycoon elenca, poi, le priorità del popolo americano come “scuole di qualità”, “quartieri sicuri”, “lavori dignitosi”, tutte “richieste ragionevoli di un popolo virtuoso”. Purtroppo la realtà che lui si ripromette di cambiare mostra ancora “madri con bambini intrappolati nella povertà”, fabbriche chiuse e un sistema scolastico costoso ma inadeguato.

La sua denuncia va contro “il crimine, le gangs e le droghe” ma, promette, “questa carneficina americana finisce qui e finisce ora”. Trump parla di una “nuova visione che guiderà” il suo paese, ovvero l’America prima di tutto (“America first”). Promette di difendere i confini a stelle e strisce dagli effetti nefasti della globalizzazione che permette alle aziende di delocalizzare la produzione per ridurre i costi sfruttando i lavoratori e distruggendo i posti di lavoro USA. Niente assistenza sociale, ma lavoro, questa la ricetta trumpiana per risollevare il suo popolo. “Compra americano e assumi americani” diventa il suo motto. In politica estera, poi, promette solo una cosa: unire il mondo civilizzato contro il terrorismo radicale islamico. “Non importa quale sia il colore della nostra pelle - esorta per chiudere - nero, marrone o bianco. Sanguiniamo tutti lo stesso sangue rosso”.