Sazietà. L’essere, il sentirsi sazio. Pieno appagamento del desiderio; completa soddisfazione del desiderio di qualche cosa. Mai vocabolo risulta più inappropriato e distante anni luce da un uomo, ancorché calciatore, mai parso appagato, seppur i trofei della collezione di famiglia possano minimamente ed erroneamente indurre a pensarlo.
Zlatan, vincente per natura
Se per qualche fruttuoso caso della vostra esistenza aveste la fortuna di conversare con Zlatan Ibrahimovic, 36 anni ad ottobre prossimo, non chiedetegli mai se si senta sazio. Lo ripeto qualora vi fosse sfuggito: MAI.
E non mi riferisco a meri argomenti alimentari, nossignore. Qui si parla di 11 titoli e 17 coppe nazionali più 3 internazionali. Per non divagare poi nei vari riconoscimenti a livello individuale, più lunghi di una spesa media italiana al supermercato a ridosso delle festività natalizie.
Un curriculum invidiabile per chiunque, sebbene nel ridondante palmarès pesi come un macigno l'assenza della coppa dalle grandi orecchie, meglio nota come Champions League. Probabilmente è anche questa una delle principali ragioni per le quali Ibracadabra non prova senso di sazietà. Ma, anzi, una fame da inguaribile cannibale.
Uno che ci ha sempre messo il timbro (manco fossimo all'ufficio anagrafe) in tutte le prove che il fato calcistico gli ha posto davanti (non ultima la doppietta decisiva a febbraio nella finale di Coppa di Lega contro il Southampton).
L'incidente di percorso che non ti aspetti
Eccezion fatta, però, per un'altra finale, discretamente più importante, seppur senza potergli attribuire delle colpe derivanti da una prestazione negativa sul terreno di gioco. Sembra quasi uno scherzo del destino e, per certi versi, lo è eccome. E gìà, perché la finale di Europa League 2016/2017 è di quelle da libro "Cuore": Ajax-Manchester United.
Il rigoglioso passato lancero contro il presente a tinte Red Devil (divenuto oramai anch'esso passato, o forse no?). Luogo dell'incontro? Manco a dirlo, Stoccolma, 600 chilometri di distanza dalla domus patria Malmoe. "Home sweet home", sarebbe il titolo perfetto di un film che sembra scritto appositamente per lui. Ma le cose, almeno per Zlatan, non andranno esattamente così.
Lo United vincerà si la partita, conquistando di fatto il 68° trofeo della sua gloriosissima storia, l'ottavo a livello internazionale. Ma Ibra, quella finale, non la giocherà mai.
Il movente è ben presto scovato: Old Trafford, 20 aprile 2017. Gara di ritorno dei quarti di finale di Europa League contro i belgi dell'Anderlecht (per la cronaca vinta 2-1 dallo United).
Ecco, anche qui, in sua presenza, evitate ogni tipo di quesito su tale data, che sia di carattere storico piuttosto che sportivo. Quello proprio scartatelo a prescindere. Un frame cronologico che Ibrahimovic ricorderà, suo malgrado, come tra gli ostacoli più difficili da superare: rottura totale del legamento crociato anteriore e posteriore del ginocchio destro.
Tradotto, sei mesi di stop e stagione finita con due mesi di anticipo.
Una mazzata psicologica non da poco, per uno che (a 35 anni, è bene ricordarlo) sino a quel momento, aveva realizzato la bellezza di 28 gol in 46 partite tra campionato e coppe. Di quelle che ti colpiscono dritte al cuore dell'ipotalamo e che farebbe issare bandiera bianca a qualsiasi atleta giunto alla sua veneranda età (calcistica s'intende).
Quella voglia matta di stupire ancora...
Ma si sa, da uno come lui che arrendersi non sa neanche dove sia di casa, al primo vero intoppo della sua leggendaria carriera e benché sia giunto al tramonto, non possiamo prevedere che un lesto ritorno nel suo habitat naturale, il prato verde (e le recenti immagini del suo recupero fanno ben sperare).
E non sappiamo ancora (forse neanche lui) in quale stadio, l'anno prossimo, lo rivedremo esultare per una sua prodezza da stropicciarsi gli occhi. Che sia ancora in Europa (meglio), o nella sfarzosissima Chinese Super League, piuttosto che nell'americanissimo agglomerato di campioni sulla via del tramonto chiamato MLS. Non importa.
Ovunque deciderà di ripresentarsi come divinità del pallone scesa tra noi comuni mortali, saremo ancora lieti di essere lì, davanti alla tv o allo stadio, attoniti e meravigliosamente catalizzati dalle sue gesta, dalla sua classe sopraffina e dall'eleganza di un omone alto 195 centimetri, che con la palla tra i piedi si eleva in una sublimazione tecnica e visiva di primissima qualità, comune solo a pochi eletti.
Non importa che sia di testa, di rovesciata o ancora meglio con il colpo dello "scorpione", marchio di fabbrica per antonomasia. Non importa. L'importante sarà poter ancora ammirare una prodezza, alla sua maniera. Firmata, come sempre, Zlatan Ibrahimovic.