Il presidente Trump è stato eletto dal popolo statunitense sotto lo slogan ''American First''. La crisi sistemica del capitalismo globale ha profondamente provato la popolazione nord-americana a cui l'oligarchia - si tratta d'una e vera e propria aristocrazia feudale - ha fatto pagare il prezzo delle proprie politiche guerrafondaie. Una rottura col passato era inevitabile.

Molti analisti hanno notato come la Clinton fosse una delle corresponsabili della catastrofe neoliberista, non soltanto parte integrante dell'establishment ma addirittura guerrafondaia e madrina d'una ipotetica, apocalittica, guerra termonucleare contro la Russia.

Gli statunitensi non solo hanno dubitato della Clinton, come afferma Michael Moore, ma hanno, addirittura, esorcizzato il suo nome chiedendo meno delocalizzazioni e più protezionismo. Come non dargli ragione? Questo malcontento popolare è stato raccolto dal neoeletto presidente, non un politico di professione ma un imprenditore immobiliare quindi, fra le diverse cose, esperto nelle tecniche di propaganda.

Trump critico del neoliberismo

Donald Trump appartiene alla fazione del Padronato USA, in contrasto col complesso militar industriale ma, nonostante l'isolazionismo di facciata, s'è dimostrato, in altre circostanze, disposto a passare sopra a tutto: diritti dei lavoratori, Stato sociale e questione ambientale.

La sua critica al neoliberismo, a favore d'un ''capitalismo patriottico'' come l'ha chiamato il giornalista francese Jean Bricmont, è stata una sorpresa. Domanda: il tyocon Trump ed il socialdemocratico Sanders che cosa hanno in comune? La risposta è semplice, entrambi si sono rivolti direttamente al popolo USA senza far riferimenti a ricchi gruppi di potere, quei signori che, come dice Noam Chomsky, impediscono agli USA d'essere una democrazia.

Fino ad ora l'oligarchia ha imposto a Trump le dimissioni dello stratega militare Michael T. Flynn, il quale scrive su Russia Today e, dell'ideologo d'estrema destra, Steve Bannon. Gli oligarchi guerrafondai hanno davvero vinto la loro guerra contro il Padronato? La risposta è no, seppur il progetto di realpolitik imperialistica dei ''padroni'' non va, di certo, a vantaggio d'un mondo più giusto.

Donald Trump vuole una guerra contro l'Iran?

Il nuovo presidente ha, più volte, minacciato la Repubblica Islamica dell'Iran. Il palazzinaro di New York farà sul serio? Rispondere non è facile, del resto cimentarsi nella politica significa, usando le parole di Sartre, ''sporcarsi le mani di fango o, se va male, di sangue''. Ci sono altre piste che un analista potrebbe percorrere?

Il presidente Nixon ed i suoi consiglieri, negli anni '70, elaborarono la teoria del pazzo. Di che cosa si tratta, il nome, di per sé, è suggestivo? Una grande potenza coloniale come gli USA minacciando un'azione immediata e violentissima può dissuadere l'avversario - quindi lo Stato sovrano bollato in quanto Stato canaglia - a compiere qualsiasi mossa preventiva, anche la più efficace.

Si tratta d'un potente deterrente rivolto, più che altro, sul piano della propaganda. Domanda: Trump vorrà utilizzare la tattica di Nixon? La pista - fra l'altro indicata anche da esperti analisti come Israel Shamir e Thierry Meyssan - è la più realistica e sensata.

Che cosa vuole Trump dall'Iran?

Il presidente Trump è un esperto nell'evitare il fallimento delle grandi imprese e, francamente, il capitalismo USA è un po' una sorta di azienda fatta stato. Il presidente non vuole - per ora - aggredire imperialisticamente l'Iran ma cerca, in tutti i modi, la revisione degli Accordi sul nucleare iraniano imponendo alla borghesia del bazar condizioni più svantaggiose. Questa è la sua ricetta per evitare - altri non sarebbero d'accordo - all'occidente un'uscita disonorevole dal campo di battaglia mediorientale.

Un disonore, quello degli occidentali, non soltanto cercato ma soprattutto meritato.

Trump si conferma un ottimo stratega ma, come avevamo previsto, il suo supporto alla pace mondiale è pari a zero. Vi aspettavate il contrario? Mi sembra una grande illusione.