Vladimir Putin non è uomo da cambiare repentinamente i suoi piani, nemmeno dinanzi alle tragedie. Il Cremlino tributerà i dovuti onori all'ambasciatore Andrej Karlov, ucciso il 19 dicembre ad Ankara, in Turchia, in un attentato i cui mandanti sono ancora da decifrare. Ma, prima del cordoglio, si è svolto a Mosca l'annunciato summit che vedeva allo stesso tavolo i rappresentanti della politica estera di Russia, Iran e Turchia. Putin è riuscito in una difficile missione diplomatica dalla quale potrebbe nascere un asse in grado di decidere il futuro della Siria e gli equilibri geopolitici in Medio Oriente.

Un progetto indirettamente annunciato lo scorso agosto, quando lo stesso presidente russo aveva ricevuto il suo omologo turco, Recep Erdogan, a San Pietroburgo. L'idea di costituire un'alleanza, nella quale includere due Paesi storicamente in tensione reciproca, era uno dei tasselli mancanti che adesso è stato abilmente incastrato.

Una 'triade' che scavalca l'Occidente

Il 20 dicembre, pertanto, un giorno dopo l'attentato di Ankara, il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha ricevuto a Mosca i colleghi Mevlut Cavusoglu e Javad Zarif, rappresentanti rispettivamente di Turchia ed Iran. In contemporanea il ministro della difesa, Sergej Shoigu, ha accolto i pari grado di Ankara e Teheran. Allo stesso tavolo, dunque, c'erano i rappresentanti della Turchia, partner NATO e direttamente schierata a favore della ribellione siriana, insieme agli iraniani, fedeli alleati della Russia sin dai tempi dell'URSS e sostenitori del governo siriano presieduto da Bashar al-Assad.

Il documento sottoscritto recita testualmente che "Russia, Iran e Turchia sono pronti a sostenere la definizione di un accordo, già in corso di discussione, tra il governo siriano e l'opposizione" e, anzi, sono disposti ad assumerne il ruolo di "garanti". I rappresentanti dei tre governi si impegnano a "espandere il cessate il fuoco, a sbloccare i corridoi umanitari e rendere possibile i liberi spostamenti dei civili".

In tutto ciò, c'è anche l'impegno a "garantire l'integrità territoriale della Siria". Obiettivo prioritario diventa "la lotta al terrorismo". Nessuna obiezione da parte della Turchia su quello che fino a pochi mesi fa era uno dei "traguardi" a cui mirava Erdogan. Pertanto, nessuno discute la ledearship di Bashar al-Assad. Il ministro turco Cavusoglu ha addirittura definito la presa di Aleppo "un successo reso possibile dal nostro modello di cooperazione che va esteso a tutta la Siria".

Una 'frecciata' nei confronti di Washington è stata lanciata dal ministro della difesa russo, Sergej Shoigu. "Russia, Iran e Turchia sono in grado di fare la differenza. Tutti i precedenti tentativi per un'intesa da parte di Stati Uniti e loro partner si sono rivelati un fallimento". A rincarare la dose in tal senso anche il ministro Lavrov. "I nostri negoziati con gli Stati Uniti sono stati un trastullarsi improduttivo". Ad ogni modi gli accordi di Mosca sono aperti "a tutti gli altri Paesi che hanno influenza sulla questione siriana".

Futuri possibili

Cosa ha spinto la Turchia ad accettare la posizione di Mosca sulla questione siriana? Probabilmente la rassicurazione che Ankara avrà la sua parte nella prospettata "pax", soprattutto nel nord della Siria dove l'obiettivo principale di Erdogan è quello di scongiurare la creazione di uno Stato indipendente curdo alle porte del suo Paese.

Sebbene per il momento Vladimir Putin abbia deciso di chiudere il dialogo con gli Stati Uniti, è abbastanza prevedibile che il presidente russo attenda il prossimo gennaio, quando Donald Trump si insedierà ufficialmente alla Casa Bianca. Allora la questione sarà sicuramente riaperta, l'unico ostacolo in questo caso non è affatto la permanenza di Bashar al-Assad alla guida della Siria quanto i rapporti tra Stati Uniti ed Iran. Meno di un anno fa Teheran ha raggiunto uno storico accordo sul nucleare con l'amministrazione Obama che Trump ha già annunciato di voler "rivedere".