E venne pure il gran momento di avetrana, di Sarah Scazzi e di Sabrina e Cosima, una volta ovviamente messo nel dimenticatoio zio Michele. Che rimarrà però il vero mattatore di quell’epoca: si auto-accusò, poi ritrattò, poi si accusò di nuovo mantenendo per sempre superbamente il suo ruolo di “mostro incompreso”; grandissima e originale trovata che gli salvò l’onore familiare e gli consentì una nuova vita, con strascico scommettiamo di lettere di adoranti signore agèe, da sempre a caccia del fascino tenebroso, fin dai tempi di Landru, si dice.

Entra in scena la Leosini

E se finora la Leosini con le sue "storie maledette" scavava nei meandri polverosi della cronaca nera, traendo dagli scaffali casi orripilanti e dimenticati dai più, o per cui forse pochissima era stata l’eco giornalistica, ora invece ecco tutti a attenderla con suspance alla prova con “la storia maledetta” per antonomasia. Tutti a chiedersi come avrebbe affrontato il caso Avetrana su cui si era detto di tutto e di più, che era stato talmente trivellato in cerca della più piccola vena noir, morbosa, intima, così risucchiato e svuotato che non potevi più sperare di cavare una goccia. Tutti a chiedersi come avrebbe maneggiato una vicenda cannibalizzata dalla nuova alba dell’investigazione italiana, in cui le indagini ufficiali di giudici e polizia giudiziaria sono divenute solo uno dei tanti filoni che si confondono, prevalgono o si auto-alimentano in osmosi continua nelle nuove trasmissioni ad hoc, negli approfondimenti pomeridiani, nei riverberi social, blog e compagnia cantante.

E daremo, nell'incognita della risposta dei più, il nostro giudizio. Alla fine. Ma iniziamo da lei: la nostra signora in nero.

Una donna, uno stile

Eccola pronta e ganza la signora delle cronaca nera, nerissima, quasi pece. Interviste lontano dai fatti, che hanno fatto uno stile, un’impronta, un marchio di fabbrica giornalistico: quando le onde impetuose e drammatiche si sono placate, e si stempera l’eco del turbine di flash, interviste, caccia alle notizie, foto e video rubati, magistrati attori, carabinieri figuranti impacciati, vicini che dicono quasi sempre quello che i giornalisti mettono loro in bocca, e infine di opinionisti con rapporto coordinato e continuativo con i talk show...

Allora ecco che entra in scena nostra signora della redenzione.

I "loci" leosiniani sono sempre quello delle carceri, in penombra, a dare il senso anche fisico e figurato che “le luci” sono ormai un ricordo lontano e si possa ragionare, possibilmente, su un oggetto ormai freddo e pietrificato dal tempo, dalle sentenze e dalla memoria.

Una materia fredda che la Leosini cerca poi di riscaldare e rendere appetibile con un suo stile singolare: un approccio graduale, sottovoce, colloquiale, che cerca di tendere verso i colpevoli una sorta di scala cordata malagevole e instabile cui aggrapparsi per risalire la china di una reputazione distrutta, dell’ignominia e dell’abominio per recuperare un barlume di umanità che, ecco la tesi portante, sempre si deve concedere e riconoscere anche nella bruttura, anche nelle scelte più contronatura, negli errori più drammatici e nello sprezzo della vita altrui.

Cosa ha funzionato

E tutto questo c’era anche nell’intervista a Sabrina e Cosima, e le due hanno saputo giovarsene in parte per dare la loro versione dei fatti, integrando e arricchendo quella dell’aula di Tribunale, e anche offrendo quello che nella concitazione e nella immediatezza non hanno potuto concedersi: certi ricordi teneri, certi errori che non rifarebbero, certi legami che non erano quel che si è fatto credere in Tv, certe debolezze che sono state travisate e sfruttate contro di loro, certi lati caratteriali oscurati da quelli che servivano, ad usum media, alla immagine del mostro che beve il suo stesso sangue.

Quindi la Leosini ha fatto la Leosini al meglio, col suo appeal da gran Signora dell'indagine qual é, impettita, garbata ma inflessibile quando vuole scavare attorno a qualcosa convinta di sentire l’odore del tartufo col suo fiuto di gran conoscitrice dell’animo umano. Ed ha funzionato alla grande visto l’interesse e l’audience e certo anche il riverbero social, cui la stessa Franca fa qualche piccola ramanzina in corso d’opera, anche se, sotto sotto, ti accorgi che brilla una qualche civetteria di chi ne conosce la seduzione.

E cosa invece no

E va anche tutto bene cara Franca, il tuo stile è impeccabile e professionale, e gli ascolti da record, ma bisogna stare all’erta e non stancare mai l’orecchio per certi passaggi.

Perché in un momento di distrazione, complice la destrezza vestita da tenerezza con cui Cosima ha saputo nel flusso della memoria buttare sul tavolo la sua rivelazione, eccoti insinuato che Sarah cercasse nientemeno in Cosima e Sabrina un’adozione, una nuova famiglia in cui trovare forse una comprensione ed una considerazione che altrove mancavano. Cosima accredita la tesi di esser stata più madre che zia, e si sa, non si uccide né si può esser complici dell’assassinio di una figlia, una tesi difensiva passata sottobanco con abilità e sotto gli occhi cagneschi della Leosini, che né però ringhiò né limitò il raggio d’azione della interlocutrice.

È un rischio involontario di questo modo di condurre e raccontare, questo viaggio intimo dentro una mente criminale che può farti smarrire, e confondere la voglia di mondare il peccato con la tenace rivendicazione di innocenza portata alle estreme conseguenze, fossero pure quello di oltraggiare il morto e chi ne serba il ricordo straziato.

Assunta, quella madre dai capelli rossastri tinto, scarmigliati, dimessa e quasi sempre come sorpresa dalle telecamere, non meritava l’affondo e l’affronto: strappare la vita dal corpo di sua figlia e poi rivendicarne e scipparne anche i sentimenti, seminare dubbi e insinuazioni, con il pretesto del ricordo e del focolare profferto a Sarah a compensare le mancanze della madre. No, bisognava respingere al mittente subito quella ricostruzione, quel blitz di occupazione del campo della memoria di Sarah e del dolore sacrale di una madre.

Ma, limiti dello stile Leosini, l’occhio di bue era aperto e centrato solo sul reprobo ed attorno tutto era scuro, troppo scuro per accorgersi che qualche cosa scivola via dal cerchio illuminato e può far male, a dispetto della acuta e professionalissima dark Lady Franca.

Cosa resta della Leosini

Ed eccolo l'estremo appunto alla Leosini, se vogliamo, che ci aggancia a quel rimando dell'inizio e ci concede la chiusura del cerchio di questo articolo: un tempo Leosini ci offriva un caso dimenticato se non addirittura ignorato dai mass media, un caso “ freddo” e spoglio come cadavere appena rinvenuto, sezionato ed esplorato per la prima volta da un espertissimo medico patologo per capire quando e dove era trapassata a peggior vita l'umanità del reo, come "il male” lo aveva precipitato in una spirale delittuosa senza ritorno, qual era stato il colpo di grazia alla sua coscienza della morte altrui. Ecco, diciamo che la Leosini faceva dell’ottimo giornalismo psico-necroscopico, se mi passate il termine, forense e giudiziario.

Ma nei casi di Avetrana o in quello di Meredith, quel cadavere è stato inquinato, trasposto, trasfigurato, sezionato in mille parti dalla TV, si presenta alla nostra vista ormai pregiudicato, irriconoscibile, perfino senza più sembianze umane. Persino l’immagine che i criminali hanno di sé è stata, si avverte, fortemente rimaneggiata dal riflesso negli specchi deformanti della tv. Ed il gioco, forse, non funziona più così bene. E non distinguiamo più dove l’audience sia soltanto frutto dell’ennesimo strascico voyeuristico su un caso reso morboso e indelebile, o davvero opera della magistrale mano della indagatrice Leosini. Peccato.