Le ultime dichiarazioni del vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio sull'intenzione di applicare una vera e propria sforbiciata a tutte le Pensioni nette superiori ai 4.500 euro, ha scatenato il panico tra i destinatari di tali somme e soprattutto ha infiammato il già caldo dibattito sull'argomento.

E' bastato annunciare che verrà applicata una riduzione tra il 3% e il 23% per mettere in allarme non solo tutti quei pensionati che percepiscono una pensione comunque meritata dopo oltre 40 anni di lavoro, ma anche sindacati e INPS relativamente ai costi effettivi e alla reale efficacia di questa iniziativa.

Numeri alla mano, rispetto alle stime paventate dal Ministro (circa 1 miliardo di Euro di recupero), sindacati e INPS prevedono che questo taglio porterà nelle casse dello Stato un risparmio non superiore ai 150 milioni di Euro, andando a toccare solo una piccolissima fetta di pensionati pari a circa lo 0,5% di tutti gli aventi diritto.

Inoltre, il taglio medio ammonterebbe a circa 1.600 Euro l'anno, e comunque non terrebbe conto nel dettaglio delle voci di calcolo delle pensioni. A questo riguardo, già il Presidente dell'INPS, Boeri, ha avuto modo di sottolineare, nel corso dell'audizione in commissione Lavoro della Camera dell'11 ottobre scorso, che la riduzione delle pensioni c.d. d'oro avrebbe un senso se anziché prendere come riferimento l'importo mensile singolo, si impieghi come base da ridurre il reddito pensionistico complessivo, laddove sono indicate anche eventuali premi, cumuli pensionistici e altri istituti premiali.

Una manovra che rischia di portare disuguaglianze

Gli ultimi sviluppi della vicenda che, a quanto pare, verranno ratificati nel decreto fiscale di prossima approvazione, rischia davvero di portare a serie disuguaglianze tra i pensionati che gravitano sulla soglia indicata dei 4.500 Euro mensili. Oltre ai dubbi di costituzionalità dell'iniziativa e di possibile violazione del principio del legittimo affidamento (c.d.

diritti quesiti), sembrerebbero essere confermate le paure di molti pensionati circa un vero e proprio effetto ghigliottina, indiscriminato e senza la benché minima valutazione caso per caso. Infatti, almeno dalle dichiarazioni del Ministro Di Maio, è lecito pensare che il discrimine sarà solo numerico (ossia 4.500 euro netti al mese) e non anche di sostanza, come invece ha altresì consigliato il Presidente dell'INPS.

Questo significherà che tutti i pensionati, o che abbiano versato contributi il cui ricalcolo a fine lavoro ha generato una pensione superiore a 4.500 euro, ovvero che si vedano attribuita una pensione d'oro perché hanno beneficiato di istituti premiali, saranno indiscriminatamente colpiti dalla riduzione. Inoltre, non è chiaro il criterio con cui verranno applicate le percentuali di taglio. In altri termini, con quali criteri si deciderà di applicare un taglio del 3% oppure uno del 23% ovvero una quota intermedia?

Non solo! Cosa succederà a quelle pensioni che superano di poco i 4.500 Euro netti mensili e, a ragion di logica, verranno decurtate del 3%? Nello specifico, cosa succederà a un pensionato che percepisce, ad esempio, 4.550 Euro netti mensili che vedrà la propria pensione, forse, ridotta del 3% e quindi percepirà poco più di 4.400 Euro al mese?

La risposta è ovvia: percepirà meno del pensionato che riceve 4.499,00 Euro netti mensili e che non viene colpito dal taglio, ma a conti fatti potrebbe aver versato di meno del pensionato la cui pensione viene considerata d'oro e quindi decurtata.

E' evidente che il caso limite appena descritto rappresenterà comunque una costante nel caso in cui a pensioni da importo più elevato verrà applicato, come dovrebbe essere logico, una percentuale di taglio proporzionata. Cosa succederà se un dirigente della Pubblica Amministrazione, un militare, un magistrato, un diplomatico, un dirigente di impresa o chiunque altro abbia servito lo Stato o la sua Azienda per 40 e più anni versando tutti i contributi, quando vedrà ridursi la sua pensione (in questo caso meritata o comunque definitiva da oltre un decennio) a un valore inferiore rispetto a chi, forse, ha versato meno contributi o ha minori anni di lavoro?

Sono domande che il Ministro Di Maio e i tecnici del suo ministero avrebbero dovuto porsi, o forse è opportuno che si pongano, prima di dichiarare in maniera netta e decisa che tutte le pensioni sopra i 4.500 Euro netti al mese verranno decurtate.

Se proprio si vuole perseguire uno scopo di utilità sociale e di riequilibrio, sarebbe più che opportuno seguire le indicazioni del Presidente dell'INPS sull'individuazione della soglia sulla base del reddito pensionistico complessivo e comunque prevedere che laddove la decurtazione porti a una cifra inferiore a 4.499,99 Euro netti mensili, si debba applicare una sorta di sbarramento. In altri termini, in tale caso la pensione erogata non deve essere inferiore a 4.499,99 Euro netti mensili.

Solo con questi piccoli aggiustamenti, forse, si potrebbe evitare di incorrere in ricorsi a pioggia e in vizi di legittimità costituzionale di una iniziativa che, stando ai numeri, rappresenta più una proposta demagogica piuttosto che una reale necessità per le casse dello Stato. Non è tagliando indiscriminatamente tutte le pensioni che si recupera denaro in cassa e si fa la lotta ai "privilegiati". Certe operazioni, che coinvolgono la vita delle persone e diritti fondamentali degli stessi, vanno sempre effettuate tenendo in considerazione tutte le variabili e tutte le possibili sfaccettature del caso. Se il principio posto alla base dell'operazione (risparmio della cosa pubblica) è, ovviamente, apprezzabile, allo stesso modo il metodo della messa in atto dell'operazione deve essere orientato al buon senso e all'equità.