Nessuno ha messo in dubbio, qualche settimana fa, il fatto che il governo avrebbe partorito una nuova riforma delle Pensioni, migliorando la flessibilità in uscita; le discussioni, casomai, si erano concentrate sui metodi per realizzarla, con due ipotesi: quella del presidente dell'Inps, Tito Boeri, e quella del presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano.

L'altalena delle ipotesi sulla riforma delle pensioni

Ci ha pensato il Ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a provocare il primo scossone quando, il 15 settembre, durante un question-time alla Camera, dichiarava che non era nelle intenzioni di Governo apportare modifiche strutturali alla riforma delle pensioni Fornero; tale intervento avrebbe comportato oneri rilevanti sui bilanci dello Stato e una modifica che scollegasse l'età pensionabile dalla speranza di vita sarebbe andata contro i principi di sostenibilità del sistema.

L'intervento di Padoan non era una chiusura completa, ma portava a concludere che un ritocco della flessibilità in uscita non sarebbe stato possibile nella legge di stabilità 2016.

Si sono susseguiti, dopo questa dichiarazione, giorni di silenzio da parte degli uomini di governo; poi Matteo Renzi e Giuliano Poletti hanno riaperto la partita. Il Presidente del Consiglio, probabilmente sotto la spinta della manifestazione a Roma degli esodati e la minacciata mobilitazione dei sindacati ha invitato il Ministro dell'Economia e quello del Lavoro a trovare un’intesa su modi e tempi per inserire la flessibilità nella Legge di Stabilità 2016. Poletti, dopo questo invito, è stato il primo a rilasciare dichiarazioni, annunciando che sarebbe sua intenzione trovare soluzioni per rimediare all’eccessivo innalzamento dell’età per andare in pensione introdotto dal governo Monti, soluzioni che starebbe valutando assieme al ministro dell’Economia, Padoan.

L'ipotesi più probabile di riforma delle pensioni

Una prima ipotesi, valutando alcune dichiarazioni del Presidente del Consiglio, sembrava essere quella di adottare lo schema suggerito da Cesare Damiano, il quale sosteneva che un aumento della flessibilità in uscita non solo non produce costi ma produrrebbe dei risparmi nel medio-lungo termine.

Secondo Damiano “Un assegno decurtato, al massimo dell’8%, a seguito di un anticipo della pensione a 62 anni, avrebbe un costo per i primi 4 anni, cioè fino al raggiungimento dell’attuale età prevista per la pensione. Da quel momento in poi e per 16 anni (calcolando l’aspettativa di vita media di 82 anni), produrrebbe dei risparmi”.

Questa prima ipotesi è durata pochissimo poiché oggi al vaglio dell'Esecutivo ci sarebbe quella di un'uscita flessibile a 62 o 63 anni d'età con almeno 35 anni di contributi versati: la penalizzazione sarebbe del 3-4% per ogni singolo anno di anticipo sull'età prevista; poiché questa ipotesi sembra applicabile solo per le lavoratrici, non è da escludere che domani verrà partorita una diversa ipotesi di riforma delle pensioni che, essendo come al solito un compromesso, avrà poi bisogno di nuovi ritocchi.