A quasi un mese dallo storico incontro tra i primi ministri di Cinae di Taiwan è interessante capire quali reazioni ci siano state nel ventre della gigantesca Repubblica popolare.

Blastingnews lo ha chiesto a Nello Del Gatto, giornalista, per cinque anni corrispondente Ansa da Shanghai. Collabora con diversi media nazionali e internazionali, tra i quali Radio Rai 3 e la rivista dell’Istituto Affari Internazionali su tematiche asiatiche e cinesi in particolare.

«Come per altre vicende che interessano la politica – spiega Del Gatto - il cinese medio non ha avuto alcuna reazione all’incontro tra il presidente Xi Jinping e il suo omologo taiwanese Ma Ying-jeou, figuriamoci dopo i fatti Parigi.

Dopotutto, i cinesi continentali sono poco interessati a quello che succede a “Zhongnanhai”, il complesso accanto alla città proibita dove risiede il vertice del Partito comunista cinese. L’importante è che quello che si decide nelle segrete stanze non vada a intaccare i loro interessi primari, arricchimento tra questi. Per i cinesi, Taiwannon è mai stata altro che una parte della Cina, una sorta di provincia ribelle che deve tornare alla madre patria, pertanto quanto successo a Singapore tra i leader dei due governi è cosa normale. L’ex Formosa è vista come Macao o Hong Kong e dovrà naturalmente tornare a essere parte della Grande Cina. L’apatia verso le cose politiche è un atteggiamento comune nella “Terra di mezzo”.

I cinesi sono abituati ad avere qualcuno che pensa, ragiona e agisce per loro, garantendo o, almeno, cercando di garantire standard di vita medio alti. Ecco perché – continua Del Gatto - non ci sono state reazioni nel paese all’incontro tra Xi e Ma, diversamente da quanto accaduto a Taipei e in altre città taiwanesi dove si sono organizzate manifestazioni di protesta.

I taiwanesi, infatti, temono che l’intensificazione dei rapporti con la Cina possa mettere in pericolo le libertà civili delle quali beneficiano da decenni».

Come mai è così diffusa tra i cinesi continentali questa indifferenza per le questioni di politica estera?

«E’ un atteggiamento insito nella loro cultura, in più pesa l’azione di controllo del governo.

In generale, in tutti è alto il sentimento di autodifesa territoriale e molto di quello che è altro, diverso, viene visto come possibile minaccia. Anche a livello semantico, la Cina è “Zhongguo”, la Terra di mezzo, al centro del mondo. Il resto è alieno e, soprattutto, non deve interferire, non deve minacciare. Non a caso, Pechino attacca i paesi stranieri che criticano il suo concetto di diritti civili perché interferiscono su questioni interne, attentando alla propria stabilità sociale. L’esaltazione dell’incontro in Cina lo si legge solo sui giornali, ma rientra in quella politica del controllo dell’informazione per cui “va tutto bene, dice il re”.I cinesi non sono abituati a chiedersi se quello che leggono o sentono sia reale oppure no.

Anche perché non è facile creare una coscienza critica in un paese che continua a vietare l’informazione libera. Per fare un esempio, la diretta dell’incontro tra i due presidenti, trasmesso sulla televisione di stato cinese, è stata oscurata nel momento in cui ha cominciato a parlare il presidente taiwanese».

Eppure resta l’aspetto più paradossale della vicenda, cioè i prolifici scambi commerciali tra i due paesi.

«Esatto. Dal 2008 i collegamenti sullo stretto sono stati riaperti e migliaia di turisti di entrambi i paesi viaggiano in un verso o nell’altro. L’apertura ha dato anche la possibilità di sfruttare maggiormente in continente le conoscenze tecniche ed elettroniche di Taiwan: non a caso da sempre il “made in China” è quello dei prodotti a basso prezzo, mentre il “made in Taiwan” è quello dei prodotti elettronici, telefonini e computer in testa, cioè di qualità.

Non dimentichiamoci che la più grande azienda produttrice di componenti elettronici per telefonini e computer, compresa tutta la gamma Apple, è taiwanese, la Foxconn, con moltissime fabbriche in Cina».