Una volta tanto in Medio Oriente, fra i numerosi conflitti cui mettere mano e cercare di risolvere, non si parla della situazione israelo-palestinese. I fatti di Parigi, quelle tremende ore di terrore, ci hanno ricordato che ad alimentare la propaganda jiadista oggi concorrono più i possibili scenari sul futuro della Siria che quelli su Gerusalemme e sulla Striscia di Gaza. Èqui che oggi si sta combattendo una guerra che, lungi dall'essere una rivolta popolare contro Assad, è una guerra civile combattuta fra diverse fazioni, etnie e comunità religiose.
Qui la voglia di riscossa dei sunniti si scontra con gli alawiti sciiti, i curdi, i cristiani e tante altre anime che non vogliono fuggire o scomparire da quello scacchiere.Una guerra cui ovviamente non si potrà dare la parola fine con la sconfitta di una parte o la vittoria dell'altra.
La necessità di un accordo
Per non ritrovarsi con una nuova Somalia o, peggio ancora, come evocato dal nostro premier Matteo Renzi, con una Libia bis, occorrerà puntare ad un accordo tra le varie componenti legittimamente chiamate in causa dagli eventi. Per giungere a questo obiettivo, come emerso durante gli incontri a Ginevra ed ancora più chiaramente a Parigi per il Cop21, Obama ha posto la pregiudiziale della caduta di Bashar al-Assad.
Il presidente Usa avrebbe detto chiaramente al leader del Cremlino Vladimir Putin che se si vuole garantire una reale fase di transizione politica alla Siria con un governo che, benché assistito, segni la partecipazione di tutte le parti e dia sicurezza a quel popolo, Assad deve lasciare il potere.
Le posizioni dei due leader erano note da tempo: quello che resta da capire è cosa si sono detti, da soli chiusi in una stanza, nel giorno di apertura della conferenza dell'ONU sul clima a Parigi.
Quale futuro hanno immaginato per la Siria per non rischiare di consegnarla nelle mani dell'ISIS? Un futuro che si potrà costruire solo con il coinvolgimento delle molte componenti interne al paese e con la necessaria partecipazione di players internazionali quali la Russia, gli USA, l'Europa, la Turchia e l’Arabia Saudita.
Qualsiasi negoziato, però, dovrà flemmatizzare le controproducenti spinte belliche che, al momento, potrebbero vedere quali attori protagonisti la Francia e la Gran Bretagna, di cui abbiamo già visto i tristi risultati sulla sponda meridionale del Mediterraneo.
E lo stato islamico?
Il portavoce russo, Dmitri Peskov, a margine dell'incontro fra Obama e Putin, ha avuto modo di dichiarare che "la Siria è stata discussa in ogni sua sfumatura e sul come muoversi per giungere ad una soluzione politica. Sono stati solo trenta minuti, ma abbastanza pieni". Difficile pensare che Obama non abbia chiesto a Putin di concentrare il fuoco aereo su obiettivi dell'ISIS, evitando raid contro coloro che stanno combattendo Assad.
Deve essere però chiaro a tutte le parti che se l'obiettivo é stabilizzare il paese, non si può non passare attraverso un intervento legittimato a livello internazionale dall'ONU. Un' eventuale azione contro il Califfato che porti ad una soluzione duratura deve riunire in sé forze pulite che abbiano davvero a cuore la lotta contro l'estremismo jiadista. Forze che siano lontane da quel mondo solo in parte conosciuto di finanziatori dello stato islamico, di ispiratori interessati dell'ISIS.