Dopo anni passati a parlare di conflitto d’interessi nell’epopea berlusconiana a Palazzo Chigi, il problema resta vivo anche nell’esecutivo presentatosi a suon di rottamazione. Il caso Guidi, con le relative e sacrosante dimissioni del ministro dello Sviluppo Economico, impone un brusco risveglio americano per Renzi. Il premier, impegnato in un fitto tour a caccia di investimenti, non ha potuto fare altro che assistere a un autogol clamoroso che mina la credibilità del suo governo. Al di là delle responsabilità della Guidi, pesano le scelte dello stesso Renzi maturate con il benestare di quel Patto del Nazareno che - è bene ricordarlo - rappresenta la base di questa legislatura.

Già da principio la nomina dell’imprenditrice emiliana aveva fatto storcere il naso ai più. Non per una questione di competenze quanto per i suoi rapporti professionali che l’hanno portata, sotto il mandato Marcegaglia, a essere eletta vicepresidente della Confindustria.

L’ira a distanza di Renzi

A differenza della linea di prudenza prevalsa per il caso Lupi e che comunque portarono al passo indietro dell’allora ministro delle Infrastrutture, Renzi ha immediatamente scaricato la Guidi. A nulla è servita la telefonata di spiegazioni transoceanica dell’ex titolare allo Sviluppo Economico: il premier ha chiesto di mollare e di farlo subito. La Guidi ha rispettato le istruzioni e ha reso pubblica la lettera di congedo indirizzata allo stesso Renzi.

Inizia proprio con “Caro Matteo, sono assolutamente certa della mia buona fede” la missiva che ratifica le sue dimissioni, quasi a guadagnare il perdono di chi l’ha voluta al governo e non certo dei cittadini che pagheranno le sue colpe. È su questo punto che il contraccolpo ci sarà e Renzi (da giovane ma arguto regista politico) ha voluto capovolgere il tavolo prima che lo stesso finisse col travolgere lui.

Rischia di più Maria Elena Boschi che compare nelle intercettazioni dell’inchiesta sugli impianti petroliferi Eni in Basilicata, nella conversazione della Guidi con il fidanzato Gianluca Gemelli.

La corsa al Referendum

L’affaire Guidi riapre clamorosamente la partita del Referendum sulle trivelle che si svolgerà il 17 aprile prossimo.

Lo stesso per il quale il governo si è schierato apertamente per l’astensione. In gioco c’è la durata delle concessioni alle società petrolifere e i permessi di ricerca all’interno delle 12 miglia dalla costa italiana. Nonostante la resistenza di ambientalisti e del movimento No Triv, il raggiungimento del quorum appariva fino a oggi un miraggio. L’emergere del conflitto d’interessi dell’ex ministro con le lobby del petrolio (nelle intercettazioni si fa esplicito riferimento all’emendamento favorevole a Total), ha capovolto lo scenario. “Adesso è chiaro - ha attaccato Luigi Di Maio del Movimento5Stelle - il motivo per cui Renzi sta sabotando il Referendum sulle trivellazioni. Questo è un esecutivo fondato sul conflitto d’interessi”. A fargli eco Alessandro Di Battista: “Il petrolio inquina i nostri mari e ha irrimediabilmente inquinato il governo Renzi. Mai Referendum è stato più appropriato, il 17 aprile andiamo a votare”.