La politica si sa è materia liquida, capace di mutare e conformarsi in base alle occasioni. Se non lo avesse capito nelle vesti di presidente di Provincia e di sindaco, di sicuro Renzi deve aver compreso il teorema da quando siede a Palazzo Chigi. Dalle stelle alle stalle, agli occhi della critica, il passo è stato davvero breve se non immediato. All’indomani delle elezioni amministrative nelle quali il Partito Democratico ha subito una discesa consistente nei consensi (pur non subendo il crollo vertiginoso che in molti hanno registrato), per l’ambizioso premier la strada si è messa decisamente in salita.

Di sicuro i verdetti dei ballottaggi saranno utili per delineare quella che sarà la nuova strategia interna che dovrà, per forza di cose, essere stravolta per non rischiare la pelle al Referendum sulla Costituzione di ottobre. Qualcosa già si è mosso con un Renzi pronto a fare un passo indietro rinnegando da una parte Verdini e dall’altra provando a ricucire lo strappo con la minoranza dem e soprattutto con Sinistra Ecologia e Libertà.

L’obbligo di ritrovare unità

Non è un mistero che a Renzi sia stato da sempre imputato di aver trascurato fin troppo la gestione di un partito problematico costellato al suo interno da forti contraddizioni. Finché le urne hanno gratificato le scelte univoche del segretario - premier, le polemiche della minoranza dem non sono riuscite mai a scalfire il muro issato a Palazzo Chigi.

Oggi che i flussi elettorali sono cambiati, Renzi ha dovuto prendere atto di non essere infallibile. Ecco allora che ricucire lo strappo con il fronte interno riferibile a Bersani e Speranza diviene un obbligo più che una necessità. Le prove generali di una ritrovata compattezza potrebbero essere programmate già per i ballottaggi.

Alle urne torneranno gli elettori di Comuni strategici come Torino, Milano, Bolognae Roma. Se all’ombra della Madonnina sconfiggere il Centrodestra non sarà una passeggiata, ma nemmeno un’impresa, nella Capitaleil ribaltone assumerebbe i contorni del miracolo politico.

Il vero laboratorio anti Renzi

La disfatta alle amministrative di Napoli ben rappresenta il distacco con il quale Renzi ha osservato il Sud nei suoi anni di governo.

In Campania, più specificatamente nel suo capoluogo, il PD ha perso ogni forma di credibilità. Escluso il governatore Vincenzo De Luca (vero artefice del successo bulgaro del successore Enzo Napoli a Salerno) non esiste una classe dirigente all’altezza. La lotta fratricida alle primarie tra la candidata Valente e lo sconfitto Bassolinoè la fotografia di ciò che è divenuto il PD regionale: un incubatore di approssimazione ai limiti della legalità. In questo vuoto totale di rappresentanza politica ha saputo costruirsi il suo spazio vincente il sindaco uscente Luigi De Magistris. È a lui che l’elettorato di sinistra del Mezzogiorno ha iniziato a guardare con simpatia come a un potenziale anti Renzi già nel 2018. Eventualità che il diretto interessato ha escluso: “Non ho intenzione di candidarmi, continuerò la mia rivoluzione a Napoli”.