Shimon Peres non è più tra noi. E’ morto oggi all’età di 93 anni, quindici giorni dopo essere stato colpito da un ictus. E’ stato un politico che ha ricoperto il ruolo di Primo Ministro e Presidente di Israele, nonché esponente di punta del Partito Laburista e Premio Nobel per la Pace nel 1994. Cosa lascia? Quale il peso della sua eredità? E’ oggi Israele il paese che lui voleva anche e soprattutto in relazione ai rapporti con i territori palestinesi? Domande che chiedono risposte: si apra il dibattito, mentre il mondo rende a lui omaggio.

Ascesa e discesa di uno statista discusso

Per molti è il “falco” che divenne “colomba”, per altri è un criminale di guerra. Shimon Peres, origini polacche, ne ha viste e fatte tante in vita sua. Laburista, militare, ministro, infine presidente (dal 2007 al 2014) di uno stato le cui fondamenta ha contribuito a costruire, nonché a difendere ad ogni costo. Uomo del dialogo, ma anche dal pugno di ferro, come quando da Primo ministro israeliano autorizzò nel 1996 i bombardamenti in Libano, nel villaggio di Qana, che portarono alla morte di 106 persone, soprattutto donne, bambini e anziani. Nello stesso anno fondò il Peres Center for Peace, un’organizzazione non governativa votata al dialogo e alla cooperazione tra i popoli del Medio Oriente.

Anche a sue spese, capì e professò il processo di pace in Medio Oriente come unico strumento di speranza per il futuro e alternativa a una guerra “che non ha senso”, diceva. Da laburista divenne centrista quando, nel 2006, sostenne la nascita del partito Kadima, fondato da Ariel Sharon. Per oltre sette decenni è stato attivo sulla scena politica, finché nel 2014 ha lasciato l’incarico di Presidente israeliano a Reuven Rivlin (esponente del Liku, il partito di centro-destra), ma fino all'ultimo si è esposto in politica estera, anche nei confronti delle offensive di Hamas.

Il trio del Nobel per la pace: era il 1994

“Per i loro sforzi per creare la pace in Medio Oriente”. Fu questa la motivazione con cui il comitato per il comitato norvegese, formato da cinque persone selezionate dal parlamento della stessa Norvegia, assegnò il Premio Nobel per la Pace per la prima volta a tre persone contemporaneamente, ovvero: Yasser Arafat (politico palestinese che dal 1996 fino ala sua morte nel 2004 è stato presidente dell’Anp, Autorità nazionale palestinese), Yitzhak Rabin (allora Primo ministro israeliano) e Shimon Peres, che nel 1994 era Ministro degli esteri israeliano.

I suddetti sforzi per stimolare il processo di pace si riferiscono alla conclusione degli accordi di Oslo del 20 agosto 1993, poco più di 23 anni fa. Va detto subito che essi non portarono alla fine del conflitto arabo-palestinese, che dura tutt’oggi senza che sia stata realizzata la reciproca ambizione di creare far coesistere pacificamente due stati indipendenti. In sostanza, allora, cosa produssero tali accordi? In primis, la creazione dell’Anp e poi: la suddivisione in tre zone dell’area relativa alla Cisgiordania e alla Striscia di gaza; il riconoscimento dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) come rappresentante legittimo del popolo palestinese, in cambio dell’accettazione del diritto a esistere dello stato di Israele, con annessa rinuncia alla violenza e al terrorismo.

Accordi militari, di cooperazione economico e allo sviluppo caratterizzarono gli altri aspetti dei negoziati che furono ufficializzati al mondo con una stretta di mano tra Arafat e Rabin davanti a Bill Clinton, allora presidente in carica degli Stati Uniti d’America e marito dell'attuale candidata alla Casa Bianca Hillary. Speranze, ma anche polemiche e opposizioni, seguirono alla firma degli accordi, la cui peggiore e più tragica conseguenza postuma fu l’assassinio di Yitzhak Rabin, che avvenne il 4 novembre 1995 per mano di un colono estremista israeliano, oppositore del diritto all’esistenza di uno stato palestinese.