L’ultima presa di distanza in ordine di tempo dal governo italiano guidato da Matteo Renzi è quella del prestigioso e super capitalista quotidiano finanziario britannico Financial Times. L’editorialista Tony Barber si fa portavoce del cambio di rotta del giornale sul referendum costituzionale italiano spiegando le ragioni del No. Nei giorni precedenti c’era stata l’esclusione di Renzi dal vertice di Berlino tra Angela Merkel e Francois Hollande. Sul fronte interno, invece, è di due giorni fa la notizia dei pesanti rilievi mossi da Bankitalia, Upb e Corte dei Conti ai numeri contenuti nel Def pre-manovra economica vergato a quattro mani dal premier e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Un macigno per il renzismo anche le bacchettate sul caso Mps di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera, la presa di posizione di Carlo De Benedetti e la marcia indietro di Confindustria.
Il cambio di rotta del FT e il gelo della Ue
Il primo a rompere sul Si al referendum costituzionale italiano all’interno del fronte, fino a ieri compatto, della finanza internazionale, è stato il Financial Times. Il giornalista Barber critica apertamente la scelta compiuta da Renzi di rilanciare la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, ritenuta una sorta di merce di scambio con i “sostenitori di Berlusconi e delle altre forze di centrodestra”. Anche per questo motivo il FT definisce le riforme di Renzi “un ponte costituzionale verso il nulla”.
E poi, stilettata finale che smentisce le previsioni apocalittiche dei sostenitori del Si, “una sconfitta per Renzi al referendum non destabilizzerebbe l’Italia”. Sempre dal fronte europeo c’è da registrare il gelo sceso tra Roma e Berlino a seguito del vertice Ue di Bratislava dove Renzi aveva alzato la voce su migranti e austerità.
Risultato: esclusione del premier italiano dal successivo incontro di Berlino Merkel-Hollande.
Scricchiola anche il fronte interno
Se le cose stanno messe male in Europa non vanno certo meglio in Italia. Due giorni fa è arrivata la triplice sentenza sui numeri contenuti nel Def da parte di Bankitalia, Upb (Ufficio parlamentare di bilancio) e Corte dei Conti che giudicano quantomeno “ambizioso” l’obiettivo dell’1% di crescita previsto per il 2017 (confermato anche ieri dal duo Renzi-Padoan).
Un’altra cannonata per il governo è stata sparata dagli ex alleati per il Si al referendum di Confindustria, il cui Centro Studi ha previsto una crescita disastrosa dello 0,5% nel 2017. Preoccupante anche l’uscita estemporanea compiuta dal boss del Gruppo Repubblica-Espresso Carlo De Benedetti che, una settimana fa, dalle colonne del concorrente Corriere della Sera, ha invocato le dimissioni di Renzi in caso di vittoria del No il 4 dicembre. Ultimo dei ‘congiurati’ anti renziani è l’ex direttore proprio del Corriere, Ferruccio De Bortoli (quello che sentiva “odore di massoneria” dietro Renzi), che denuncia la sudditanza del governo nei confronti della banca americana Jp Morgan sul caso Mps.