Famoso per la sua buffa acconciatura e l'indubbia abbronzatura, definito misogino, razzista e retrogrado, il tycoon americano Donald Trump continua a suscitare scalpore per le sue dichiarazioni scioccanti, fortemente maschiliste, prive di qualsiasi forma di diplomazia. Ma allora cos'è a rendere Trump un avversario così temibile, un uomo così seguito e sostenuto? Qual è la ragione del suo successo?

Una comunicazione efficace

Il tycoon americano utilizza costantemente slogan semplici e taglienti, riprodotti su t-shirts, cartelloni pubblicitari e berretti da baseball rossi e blu, a seconda del suo umore, come riferisce il suo maggiordomo Tony Senecal, in un'intervista rilasciata al giornalista del New York Times, Jason Horowitz.

"Ho una vita da vincente. Io vinco. Io so come vincere" ha ripetuto più e più volte durante le interviste, come una sorta di filastrocca. E proprio come una filastrocca che ti resta in testa, le parole di Trump colpiscono in pieno il bersaglio. Il magnate americano è infatti distante dal linguaggio politico, non conosce statistiche, né se ne intende di economia. Particolarmente ghiotto di aneddoti personali, il tycoon americano è capace di suscitare empatia nell'ascoltatore: "(Trump) utilizza storie che mostrano la sua capacità di risolvere un problema", dice la professoressa di linguistica dell'Università di Georgetown, Jennifer Sclafani, "ci sono moltissime immagini coinvolte, anche se non sa nulla di cosa stia succedendo a Wall Street...usa persona reali che l'ascoltatore può immaginare nella concretezza delle azioni che descrive sul momento.

E' un linguaggio diretto, una storia vincente". Non evita gli argomenti scottanti, li ricerca, li manipola e li offre all'avversario sul palmo delle sue grosse mani, che tanto ama agitare. Con la stessa facilità con la quale siederebbe al circolo con i suoi colleghi dell'NRA, brandendo un fucile a canna mozza, forte del secondo emendamento, sorseggiando scotch e fumando un sigaro cubano, non messicano (ovviamente), così Trump parla di immigrazione, divieti, muri, confini, risultando comprensibile e quindi supportabile.

La fear policy del Trumpismo

Il regista statunitense Michael Moore indica come 'politica della paura' la capacità secondo la quale i media, così come i politici, attuerebbero una distorsione costante della realtà, mostrando un pericolo sovrastimato, talvolta immaginario. Gran parte del progetto politico del repubblicano si erge sulla paura, sulla mancanza: "Non si tratta di isolamento, si tratta di sicurezza; non si tratta di religione, si tratta di sicurezza", disse dichiarandosi contrario ai flussi migratori in aumento nel paese.

Strategia attuata anche dall'ex presidente J.W.Bush, il quale definì l'inizio del conflitto in Afghanistan come "una guerra al terrore".

I discorsi del tycoon

Stando alle dichiarazioni del professore dell'università della Pennsylvania Mark Yoffe Liberman, a differenza della sua avversaria Hillary Clinton e dei suoi precedenti avversari repubblicani (ormai sconfitti), le parole più utilizzate da Trump sarebbero 'io', in vetta alla classifica, seguirebbe al quarto posto 'Trump', 'molto', 'Cina' e 'soldi' subito dopo. Mentre l'ex avversario, ormai sconfitto, Jeb Bush, così come la democratica Clinton, prediligerebbero parole politicamente considerate 'standard' come 'strategia', 'governo', 'presidente', 'Americani'. Registri linguistici differenti, che mostrano di riflesso mentalità agli antipodi.