Andrea Orlando, classe 1969, è uno dei tre candidati alla guida del Partito Democratico. Per aggiudicarsi il primo posto in classifica, ottenendo come premio la poltrona di Segretario, deve sconfiggere, a colpi di preferenze, Matteo Renzi e Michele Emiliano.
Il curriculum di Andrea Orlando
Orlando inizia il proprio percorso politico all’interno del Partito Comunista, ispirandosi a Berlinguier. Appena ventenne è già segretario provinciale della Federazione giovanile “falce e martello”. Dopo la morte del PCI, nel 2006 fa il suo ingresso nel board dei DS.
Nonostante i cambiamenti delle forze politiche di sinistra, messi in atto per ostacolare il dilagante successo di Berlusconi, Orlando riesce sempre a ritagliarsi uno spazio rilevante: prima con Bersani e poi con Renzi. Oggi è a capo del Ministero della Giustizia, nominato dall’ex premier e riconfermato poi da Gentiloni. Tuttavia, egli fa la sua prima esperienza nella squadra di governo quattro anni fa, quando Enrico Letta gli affida il Ministero dell’Ambiente.
Perché è candidato alle Primarie del PD?
“Mi sono candidato a guidare il Partito democratico per responsabilità e per passione”. Con queste parole l’aspirante segretario spiega la sua ambizione, sottolineando la necessità “di costruire un nuovo centrosinistra, di cui un Pd forte e plurale sia il perno, per sconfiggere la nuova destra nazionalista e populista”.
Orlando riscontra l’urgenza di ricucire lo strappo con l’elettorato, avvenuto con la bocciatura del referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016, attraverso un rafforzamento dell’identità del proprio gruppo, raggiungibile, a suo dire, con “l’ascolto e il coinvolgimento”. Insomma, per l’attuale Ministro della Giustizia, solo un’organizzazione compatta al proprio interno è capace di affrontare e superare gli avversari, nelle prossime sfide elettorali, governando così il Belpaese.
Che cosa propone?
Il programma di Orlando parte dall’unità del Partito come condizione per l’unità del Paese. Egli sostiene il confronto offline e online tra tutti gli iscritti, e i simpatizzanti del PD, come motore del cambiamento interno e fucina d’idee nuove. Dal suo punto di vista, la soluzione ai problemi dell’oggi va trovata attraverso un dialogo costante, che metta al centro le potenzialità e la freschezza dei giovani.
Orlando è favorevole al finanziamento dei privati alla politica, senza escludere quello pubblico, purché sia fatto con la massima trasparenza. In virtù di questo principio, egli si fa promotore di una legge sul lobbing, sostenendone la necessità per ridurre la corruzione e dissolvere il legame tra mafia e istituzioni.
Allo Stato egli assegna un ruolo principe nella definizione di strategie -di medio e lungo periodo- che, attuate in sinergia con gli enti locali, possano garantire uno sviluppo sostenibile, una maggiore occupazione e una redistribuzione più equa della ricchezza. Per il candidato, l’amministrazione centrale di un paese ha un ruolo preminente anche negli investimenti, sebbene ciò vada a discapito del debito pubblico.
Per tale ragione, Orlando ritiene urgente la modifica del sistema Comunitario: ridisegnare il Fiscal Compact, costruire un’unione bancaria, e gestire l’immigrazione tramite un vero concorso tra tutti i paesi membri.
Sul tema del lavoro egli promette di ridefinire il quadro generale, puntando sulla stabilità dell’occupazione e la formazione continua. Su quest’ultimo aspetto, il ministro propone un sostanzioso aiuto economico alla ricerca e all’università, al fine d’incrementare la competitività delle nostre imprese nel mercato globale, il prodotto interno lordo, e il numero dei lavoratori attivi.
Queste idee sono valide. Gli ingredienti ci sono. Tuttavia, questo programma sembra privo di un livello di definizione che, se ci fosse, lo renderebbe appetibile. Ergo: la ricetta è in via di formulazione, ma non è ancora completa.