Non potevano che creare discussioni e malumori i contenuti dell’ultima fatica editoriale di Matteo Renzi. Il libro Avanti - Perché l’Italia non si ferma (edito da Feltrinelli Editori ndr) è stato presentato alla platea dell’Auditorium del Maxxi di Roma, dopo giorni e giorni di retroscena e indiscrezioni fatte circolare ad hoc sui principali organi di stampa nazionali. Una strategia che pagherà dal punto di vista del marketing, ma che non contribuirà certamente a portare il sereno nella casa del Partito Democratico. Anzi, semmai Renzi ha colto la palla al balzo per tornare ad attaccare i suoi storici detrattori, finendo col ricalcare quel solco profondo ormai cristallizzato all’interno dell’universo Centrosinistra.

Il segretario dei democratici appare sempre più il timoniere di una nave che si sta allontanando dalle coste amiche. Una scelta che il diretto interessato non farebbe fatica a definire obbligata. In molti tratti di quella che può essere considerata la prima biografia politica di Renzi, ritornano insistentemente personaggi che hanno contraddistinto la scalata dell’ex sindaco di Firenze: Enrico Letta e Massimo D’Alema.

Il golpe della minoranza

Il ribaltone del governo di Enrico Letta, era e resta una delle pagine più opache della recente storia politica italiana. A distanza di qualche anno Renzi ha voluto fornire la sua versione dei fatti in primis per scaricare ogni responsabilità. “Fu un’operazione voluta dalla minoranza del partito e in primis da Speranza - ha svelato il segretario del Pd - che ho pagato a livello reputazionale”.

Un passo indietro però solo parziale fatto seguire da un “Ma lo rifarei” e da un attacco diretto all’ex premier. Con un giusto mix di orgoglio e arroganza, Renzi ha sottolineato come Letta sia arrivato a Palazzo Chigi forte (si fa per dire) di un undici per cento incassato alle primarie del 2007. Una statistica rispolverata e buttata lì per rivendicare un aspetto fondamentale che lo differenzia tuttora dalla folla degli aspiranti candidati premier del Centrosinistra: la capacità di catturare consensi elettorali trasversali.

Nel togliersi diversi sassolini dalle scarpe, Renzi è tornato a spingere forte proprio sulla retorica del leader solo al comando legittimato dalla base del partito. Un’altra uscita a vuoto che fa parte sì del bagaglio del personaggio, ma che già in passato ha contribuito a causare clamorose figuracce.

La stoccata al nemico

Proprio la sconfitta senza appello patita in occasione del Referendum Costituzionale, provocò le dimissioni da premier di Renzi e il ritorno sulle scene da protagonista di Massimo D’Alema.

La guerra tra i due è proseguita senza sosta ed è tornata a toccare picchi altissimi negli ultimi giorni. D’Alema ha dichiarato, senza troppi giri di parole, che fin quando ci sarà lui in politica Renzi non potrà stare mai tranquillo. In tutta risposta il segretario del PD ha voluto minimizzare il caso replicando però, dai microfoni di Rtl102.5, con lo stesso trattamento riservato anni addietro all’allora viceministro dell’Economia, Stefano Fassina: “D’Alema Chi?”. Il rapporto logoro tra i due resta il vero ostacolo per la costruzione di un progetto unitario del Centrosinistra. Dietro le quinte in molti si sono prodigati per riavvicinare le parti fallendo miseramente la missione assegnata. L’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, è stato solo l’ultimo in ordine di tempo.

Renzi e D’Alema, così uguali e così diversi, continueranno a correre su binari paralleli: un lieto fine nella storia de “il rottamatore e il rottamato”, del resto, risulterebbe quantomeno poco credibile.