Cosa resterà del Pd? Dopo l’ultimo disastro andato in scena alle recenti elezioni amministrative, la casa dei progressisti italiani è a forte rischio abbattimento. Anche i più restii vanno via via convincendosi della necessità di voltare pagina in maniera radicale e senza compromessi. Il punto di non ritorno è stato ormai raggiunto e far finta di ciò aumenterebbe le pesanti colpe di un gruppo dirigente, che ha saputo dilapidare un patrimonio importante in termini elettorali. Il PD, nato con l’obbiettivo di aggregare il popolo del Centrosinistra, ha conosciuto l’utopia del bipolarismo ed è finito con lo specchiarsi troppo innanzi ad ambizioni maggioritarie.

Non c’è stato un solo segretario (da Walter Veltroni a Maurizio Martina) che non sia finito vittima della guerra fratricida che ha alimentato costantemente la sete di potere dei suoi volti storici. Se si può parlare di fallimento, lo si deve imputare proprio a coloro che hanno anteposto interessi personali al bene comune. Matteo Renzi, finito inesorabilmente sul banco imputati, è colui che sintetizza al meglio il triste epilogo di un progetto talentuoso nella proposta ma fragile nella struttura. Nel momento più brutto dalla sua fondazione datata 14 ottobre 2007, il PD non potrà più sfuggire da un aut aut che già in passato doveva essere affrontato: resistere per rifondare o distruggere per ricostruire.

PD, Zingaretti per rifondare

Chi ha le idee chiare al riguardo è Nicola Zingaretti. L’attuale governatore del Lazio ha lanciato la sua scalata al Nazareno che passa dall’offerta di un modello rappresentato in prima fila dai sindaci. Da Sala (Milano) a Pizzarotti (Parma) sono tanti i primi cittadini che hanno già detto sì a Zingaretti, convinti da un progetto centralizzato sui veri problemi dei territori.

Il cosiddetto “Modello Z” non poteva che subire critiche dalle truppe renziane, anche perché si è posto sin da subito come vera alternativa al passato. Zingaretti sa bene che se rifondazione deve essere, non potrà che partire dall’accantonamento di tutti quei personaggi che nel bene o nel male vengono considerati (a torto o ragione) vicini a Renzi.

La base democratica, infatti, non capirebbe una nuova svolta guidata dalle facce di sempre. Il governatore non ha nessuna intenzione di deluderli e, in tal senso, sta limitando al massimo di esporsi per poter pianificare con relativa tranquillità il da farsi. “Sono un punto di riferimento del PD perché, a differenza d’altri, non parlo” ha affermato Zingaretti in un’intervista al Corriere della Sera. Saranno le primarie l’occasione giusta per uscire definitivamente dalla tana. Primarie che i suoi avversari, invece, vorrebbero cancellare.

PD, Calenda per ricostruire

Tra un’intervista e l’altra, a Carlo Calenda il low profile sembra non piacere. L’ex ministro dello Sviluppo Economico non ha fatto nemmeno in tempo ad iscriversi al PD, che si è messo a capo della corrente che punta a guidare la demolizione totale per una nuova ripartenza.

Via il nome, via il logo, via i vecchi schemi. Calenda ha scelto il quotidiano Il Foglio per lanciare il suo manifesto politico del Fronte Repubblicano. Una nuova casa che possa aggregare diversi partiti uniti dall’esigenza comune di arginare il fenomeno pericoloso del sovranismo guidato da Lega e Movimento5Stelle. Cinque le priorità del progetto: assicurare stabilità economica all’Italia, proteggere le fasce disagiate della popolazione, investire nell’innovazione, difendere gli interessi italiani in Europa e nel mondo, tutelare la cultura e il desiderio di conoscenza. All’atto del battesimo della sua creatura Calenda si è smarcato dalla guida del nuovo soggetto politico, ma ha indicato nell’ex premier Paolo Gentiloni il garante ideale per rappresentarlo al meglio.

Non resta che aspettare la convocazione del Congresso del PD che, ancora non è dato sapere, se si terrà a luglio o slitterà in autunno. Una data dalla quale dipenderà naturalmente anche il destino del segretario reggente, Maurizio Martina.