Sono da poco passate le dieci del mattino odierno quando Matteo Renzi si alza dal suo posto e prende la parola di fronte all'assemblea del Senato. La giornata di oggi presenta all'ordine del giorno la votazione sul cosiddetto decretone, comprendente vari emendamenti di modifica a reddito di cittadinanza e misure pensionistiche, tra i provvedimenti portabandiera del governo gialloverde. L'ex premier prende la parola sottolineando l'importanza del decreto in discussione, vera scelta qualificante della politica europea gialloverde, il biglietto da visita della maggioranza, e rimarca poi come la futuribilità di molti slogan utilizzati da esponenti anche di spicco del governo siano strettamente dipendenti da quanto scritto nelle pagine della Gazzetta Ufficiale.

Le immagini idilliache fatte circolare dai canali governativi che dipingono un 2019 bellissimo (parole testuali), l'abolizione della povertà e l'inizio del boom economico, sono tutte situazioni che secondo Renzi sono vincolate alla bontà delle misure del decretone. Renzi continua prendendo fermamente le distanze, personalmente e come gruppo parlamentare, dal decreto della maggioranza, puntualizzando il proprio dissenso per le implicazioni presenti passate e future insite nel provvedimento.

Renzi a Lega e M5S: 'Avete mentito agli elettori'

L'attacco dell'ex premier si fa ora più pungente e si riferisce a ciò che è stato in campagna elettorale, accusando i partiti della maggioranza di governo di avere mentito agli elettori, riportando il downgrade delle valutazioni economiche sulla portata della manovra che si sono via via susseguite: dai 63 miliardi ipotizzati dal Pd ai 20 postulati dai 5 Stelle, per finire agli effettivi 4 miliardi oggi sul piatto della bilancia.

Il prossimo argomento toccato nella scaletta dell'intervento è la legge Fornero e Renzi accusa il governo di avere mentito anche su quella, avendo postulato in modo convinto in campagna elettorale la volontà di abolirla nella prima settimana di governo, cosa poi effettivamente non avvenuta. La lista delle menzogne che l'ex premier rinfaccia all'esecutivo e ai partiti che lo sostengono continua ad allungarsi e si arricchisce prima della flat tax, della quale si sono perse le tracce, e poi della politica dei rimpatri, sulla cui reale portata non c'è chiarezza.

'State facendo un atto di masochismo di fronte alla crisi economica'

Renzi continua lapidario: "Questo decreto segna la fine dell'innocenza del governo gialloverde rispetto alla campagna elettorale" e rincara ulteriormente la dose, introducendo per la prima volta nel proprio ragionamento la dimensione economica internazionale, in questa ottica il decreto per il senatore è fortemente negativo: "Un atto di masochismo di fronte alla crisi economica che stiamo per vivere".

Sul fronte economico l'attacco dell'ex premier è preciso e tagliente: prima coglie al volo l'assist offertogli dalla postazione, oggi vuota, del ministro Tria, dicendo di comprenderne l'imbarazzo e di conseguenza l'assenza, e poi ricorda i numerosi punti di domanda riguardo alla sostenibilità economica delle scelte dell'esecutivo, cominciando dalle clausole di salvaguardia. Renzi ricorda come tutte le dichiarazioni provenienti in tal senso dall'attuale maggioranza fossero, per usare un eufemismo, critici nei confronti delle clausole che ora, alla prova dei fatti, sono state addirittura raddoppiate dall'esecutivo.

Il punto più grave della politica economica del governo è però l'errore nelle previsioni, definito da Renzi come il vero falso che sta alla base della legge di bilancio, con la conseguente necessità di trovare almeno 15 miliardi per il 2020.

Secondo Renzi è irresponsabile che di fronte ad un ammanco di 40 miliardi se ne investano 8 per un provvedimento che non va nella direzione di aiutare la crescita e ricorda i dati dei governi precedenti, partendo da quello tecnico di Monti, che erano riusciti gradualmente a uscire dalla recessione e a far tornare il segno positivo, almeno fino alle ultime previsioni.

Il problema non è che non c'è Draghi, ma che ci siano Toninelli e Di Maio

L'ex sindaco di Firenze, riferendosi a chi aveva attribuito la paternità dell'uscita dalla recessione alla regia più o meno occulta di Mario Draghi, ricorda in maniera piccata come il mandato di Draghi sia ancora in essere e che quindi sia falso dire che il presidente della BCE sia un interlocutore del quale ora non ci si possa più avvalere.

"Il problema non è che non c'è Draghi, il problema è che c'è Toninelli" sentenzia il senatore del PD, riferendosi alla linea ad oggi assolutamente non chiara che il governo intende tenere sulla TAV. L'attacco di Renzi passa poi contro Di Maio: "Il ministro del lavoro Di Maio ha pubblicato un post su facebook valorizzando i dati del 2018" dice il senatore, che proseguendo afferma: "lo condivido perchè quei dati positivi sono figli delle misure del passato, secondo l'ISTAT da quando c'è questo governo i posti di lavoro sono diminuiti. L'aumento dei posti di lavoro lo state dicendo voi sulla base dei risultati che abbiamo prodotto noi".

'Noi non vediamo il futuro come una minaccia ma come un'opportunità'

Il focus dell'intervento si sposta quindi sul Reddito di cittadinanza, del quale Renzi non condivide il principio di fondo, la filosofia guida improntata sulla paura delle future dinamiche occupazionali. L'ex premier è d'accordo sul fatto che la rivoluzione telematica cambierà modalità e possibilità legate al lavoro, creando nuovi settori professionali: "Non possiamo dire che visto che il futuro cambia noi non lavoreremo più", riferendosi alla previsione di Casaleggio secondo la quale nel 2054 ognuno lavorerà l'1% del suo tempo. "Siamo come gli amanuensi che avevano paura della macchina da stampa, come i luddisti che avevano paura dell'innovazione tecnologica" dice Renzi, che continua: "Vi diciamo no perchè il futuro non lo vediamo, come invece fate voi, come una minaccia.

Non si combatte la povertà assumendo dei navigator con l'incarico di presentare tre proposte di lavoro ai disoccupati, perchè se queste tre proposte esistono non c'è bisogno di un navigator per trovare lavoro".

Secondo Renzi il vero problema è il minimo comune denominatore di questa manovra, ovvero, ancora una volta, la cultura della paura che implicitamente rimanda una visione del domani a tinte fosche, dal quale bisogna difendersi. "Non possiamo pensare che il futuro della repubblica democratica fondata sul lavoro sia un sussidio, l'assistenzialismo è un messaggio diseducativo. E' la direzione di marcia che è sbagliata non le tecnicalità" sentenzia il senatore.

State alimentando un clima di odio dannoso al paese

Renzi rivendica poi alcuni dei successi dei propri governi, tendendo idealmente la mano verso l'attuale esecutivo con l'auspicio che ne possa portare altrettanti. Questa mano tesa, in un'ottica di collaborazione, viene però scostata dai 5 Stelle e dalla Lega da un linguaggio che Renzi descrive come pieno d'odio e le cui conseguenze si stanno avvertendo anche a livello sociale. Questo clima ostile ha portato a legittimare comportamenti razzisti e violenti che l'ex premier ricorda a tutta l'assemblea: gli attacchi alla cantante Emma, il caso del bambino di colore discriminato dal suo stesso insegnante.

Sempre nella stessa ottica Renzi attacca Giarrusso, senatore pentastellato che in passato gli aveva addirittura augurato di essere impiccato, dicendo come da un simile tenore di linguaggio fa male non al PD ma al paese, così come lo stesso effetto hanno sortito gli incontri dei 5 Stelle con i gilet gialli e la loro frangia più militare.

Riguardo a questi comportamenti e ai messaggi della maggioranza sullo spread, Renzi conclude: "State portando via il risparmio delle famiglie, non fate paura a noi, state facendo paura agli italiani. Cambiate strada finchè siete in tempo".