Il voto amministrativo in Turchia del 31 marzo ha coinvolto oltre 48 milioni di elettori, l’84% degli aventi diritto. L’esito, in apparenza, è stato favorevole alla coalizione comprendente il partito del Presidente Recep Erdogan (il Partito dello Sviluppo e della Giustizia, AKP) e l’alleato Partito del Movimento Nazionalista che, insieme, hanno conseguito circa la metà dei voti.

Erdogan, tuttavia, ha poco da essere soddisfatto. Infatti, per prima cosa, alle elezioni politiche dello scorso anno, il suo partito – da solo – aveva superato il 55% dei consensi.

Inoltre, i risultati semi-ufficiali, indicherebbero che il presidente, in un colpo solo, ha perso la guida delle amministrazioni delle tre più importanti città della Turchia: Istanbul, Smirne e la capitale Ankara. Per la capitale, si tratterebbe della prima sconfitta da venticinque anni a questa parte.

Le elezioni in Turchia evidenziano un paese spaccato: le campagne saldamente in mano al 'sultano' ma non le grandi città

Parliamo di risultati semi-ufficiali di queste elezioni in Turchia, perché a Istanbul e ad Ankara, poco prima del responso finale, Erdogan ha bloccato lo scrutinio, adducendo l’esistenza di brogli. Così ha ottenuto di conteggiare nuovamente le schede, con esiti non prevedibili.

A Smirne, sotto di circa venti punti, il “sultano” ha preferito lasciar perdere e ammettere la sconfitta.

Le opposizioni democratiche hanno conquistato anche altre importanti città come Adana, Antalya, Mersin, Burdur e quasi tutte le amministrazioni della costa dell’Egeo. Il partito nazionalista curdo, invece, si è aggiudicato sei città su dieci dell’area con popolazione a maggioranza curda.

Altri indicativi successi delle opposizioni sono quelli del primo sindaco comunista, nella città di Dersim; quello del primo sindaco diversamente abile e di alcune donne. Un giornalista incarcerato, inoltre, governerà le nove piccole isole del Mar di Marmara.

La coalizione presidenziale, tuttavia, è largamente vincitrice nelle campagne.

Ciò indica un paese sostanzialmente spaccato, dove Erdogan riscuote i consensi nelle aree ancora fortemente islamizzate. Il “sultano”, onde evitare rischi, ha comunque dichiarato che non ci saranno Elezioni politiche anticipate prima della scadenza naturale della legislatura, prevista tra quattro anni.

Il risultato delle elezioni in Turchia determinato soprattutto dalla crisi economica

Il fattore principale dell’arretramento della coalizione governativa non sembra risiedere nel diffondersi della corruzione, della microcriminalità o al malessere legato alla mancanza della libertà di espressione, negli ultimi anni. Trova soprattutto fondamento nella crisi economica che ha impoverito le classi medie a reddito fisso e la piccola borghesia cittadina.

Dallo scorso anno, infatti, la lira turca è al collasso, essendosi svalutata di circa il 30% nel 2018. Nell’anno in corso, sino all’imminenza delle elezioni aveva ripreso il 3% rispetto al dollaro ma solo perché la banca centrale, in settembre, ha portato il tasso di sconto dal 17,5 al 24%. La stretta creditizia, tuttavia, ha avuto come effetto la recessione e la fuga dei capitali. Ieri, inoltre, i risultati delle elezioni hanno fatto perdere nuovamente di alcuni punti il valore della moneta turca rispetto al dollaro.

Nel frattempo, i rendimenti dei bond sovrani sono schizzati oltre i 400 punti base, per quanto riguarda i decennali e a circa 250 i biennali. In Italia, si direbbe che lo spread è arrivato alle stelle.

Secondo gli osservatori, il risultato delle elezioni in Turchia non potrà che incrementare il trend negativo.

Si misurerà, quindi, sul piano economico, la capacità e la possibilità di Erdogan di mantenere le redini e la guida del paese, nei prossimi anni. Se la crisi economica e finanziaria non si attenuerà o, addirittura, investirà anche la produzione agricola e le risorse alimentari delle campagne, potrebbero crearsi problemi seri per il “sultano” di Ankara.