La leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni è stata recentemente eletta presidente del partito europeo ECR, European Conservatives and Reformists. Di questo BlastingNews ha parlato in esclusiva con Enrico Calossi, professore di relazioni internazionali all’Università di Pisa e coordinatore dello Observatory on Political parties and Representation (OPPR).
Calossi: 'Successo personale di Giorgia Meloni e di FdI, ma non è la prima italiana a dirigere un partito europeo'
Professor Calossi, cosa pensa della recente elezione di Giorgia Meloni alla guida dell'ECR ?
"Indubbiamente l’elezione è un successo personale dell’onorevole Giorgia Meloni e politico del partito Fratelli d’Italia. Che si inserisce in un momento, tra l’altro, di crescita, nei sondaggi'.
Le cronache politiche hanno definito Giorgia Meloni come la prima italiana a dirigere un partito europeo...
"Non è così. Prima di entrare nel dettaglio vorrei fare una premessa. I partiti europei (noti anche come Europartiti) sono un tipo di organizzazione diversa dai gruppi parlamentari del parlamento europeo (che esistono dagli anni 50, quando il Parlamento Europeo ancora non era elettivo) e tutto sommato recente. Infatti, si sono organizzati ufficialmente dopo il 2003, grazie ad un regolamento specifico dell’Unione Europea, che ne disciplina i criteri per il riconoscimento e la modalità di finanziamento (pubblico).
Al momento ne esistono una decina. Accanto ai più noti Partito Popolare Europeo e Partito Socialista Europeo troviamo anche i Conservatori e Riformisti Europei. In passato, altri italiani sono stati alla presidenza di alcuni partiti europei: tra i principali possiamo ricordare Grazia Francescato (nel 2003-2004) e Monica Frassoni (tra il 2009 e il 2019) nel Partito Verde Europeo e Fausto Bertinotti (tra il 2004 e il 2006) per il Partito della Sinistra Europea.
Anche Francesco Rutelli è stato a lungo co-presidente del Partito Democratico Europeo. Quindi, quella della Meloni, da questo punto di vista non è una novità. Mentre, al contrario, è molto importante che un partito di destra e sovranista, come FdI, di solito molto scettico nei confronti del piano europeo, abbia deciso di giocare un ruolo così importante.
Tra l’altro, FdI è quasi un nuovo arrivato nella famiglia dei Conservatori e Riformisti. Il partito nacque nel 2010 su ispirazione dei conservatori inglesi (da lì il nome e il simbolo del partito: il leone imperiale britannico accucciato), ma FdI è entrato solo nel febbraio 2019. Nei primi anni di vita di ECR, l’ingresso di FdI non aveva senso, essendo il partito italiano ancora molto piccolo. Successivamente, FdI che stava crescendo, non aveva parlamentari europei e non era quindi spinto a cercare adesioni a livello europeo, né nei gruppi né negli europartiti. Inoltre, un freno importante all’ingresso di FdI era rappresentato dalla presenza del partito islamista turco AKP del presidente Tayyip Erdogan.
Quando nell’autunno del 2018, l’AKP lasciò l’ECR, la strada si liberò per l’ingresso di FdI".
Il professor Calossi: 'Spesso il gruppo viene definito solo dei Conservatori Europei ma c'è anche il termine Riformisti'
Più volte ha parlato del partito dei Conservatori e Riformisti Europei, ma nel dibattito italiano si parla quasi solo dei Conservatori Europei. Perché?
"Sì, questo è un elemento importante ed è legato alle diverse accezioni e percezioni che parole simili suscitano nelle diverse lingue. Il termine riformista, in Italia, ha una tradizione di sinistra moderata. Già negli anni verso del secolo scorso il PSI si lacerò nello scontro tra comunisti, massimalisti e riformisti. Di fatto i comunisti si allineavano sulle posizioni del “Fare come in Russia”, mentre i riformisti sceglievano la via parlamentare per il cambiamento del Paese.
Successivamente i riformisti si sono strutturati intorno al PSDI ed alcune fazioni del PSI. In epoca di Seconda Repubblica, il riformismo è stato alla base della nascita del PD e oggi viene usato come terreno comune per tutto il centro sinistra, compresi anche Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda. A volte il termine è stato usato anche a destra, ma mai per definire partiti ben precisi. L’unico è stato Raffaele Fitto che nel 2015, uscendo da Forza Italia, volle trasportare, da parlamentare europeo, l’esperienza dei Conservatori e Riformisti in Italia. E “Conservatori e Riformisti” divenne precisamente il nome del suo partito. Tra l’altro Fitto è stato estremamente funzionale nel favorire l’avvicinamento di Giorgia Meloni e FdI alla famiglia dei conservatori.
In generale, comunque, quando si è usato lo è stato fatto per tutto lo spettro politico e con accezione negativa. Ad esempio, tutti ricordiamo le critiche di Matteo Renzi verso i sindacati quando li definiva “conservatori”. Anzi, per essere più precisi nel mondo del centrosinistra italiano, i due termini “riformisti” e “conservatori” vengono presentati e pensati come opposti. In questo la presenza di un partito europeo che mette insieme le due definizioni sembra un ossimoro. In ambito UE però non è così. La nascita dell’ECR era stata anticipata da una forma di coordinamento informale tra alcuni partiti euroscettici moderati (o “eurorealisti”, per come preferiscono autodefinirsi) che si chiamava “Movimento per una Riforma dell’Europa”.
Per Riforma, i Conservatori inglese e l’ODS ceco (cui si aggiunsero altri successivamente) pensavano a un’Unione Europea che abbandonasse ogni velleità politica e che si concentrasse unicamente come zona di libero scambio delle merci. Una nuova Free Trade Area, come era stata l’EFTA inglese tra gli anni 60 e gli anni 80. Da qui quindi l’accezione totalmente diversa per il termine “riformista” rispetto al significato vissuto in Italia".
Questo slittamento di significato capita anche ad altri termini utilizzati in politica?
"Sì, sicuramente lo slittamento più conosciuto avviene per il termine “liberal”. In America in quel modo si definiscono i politici di sinistra, mentre in tutta Europa il termine caratterizza moderati centristi.
Qualcosa di simile avviene per “socialista”. Nel Regno Unito essere socialisti significa trovarsi alla sinistra del Labour Party, mentre in Italia non è inconsueto trovare socialisti al centro dello spettro politico o addirittura nel centrodestra. In America invece il termine “socialist” è quasi sinonimo di “comunista” ed al limite della extra-costituzionalità o comunque definisce posizioni di sinistra molto “radicali”. E proprio con il termine “radicale” voglio concludere questa discussione. Negli anni recenti, il termine viene spesso associato ai termini “destra” o “sinistra” per definire posizioni alternative o ai margini del dibattito politico. Storicamente invece il termine “radicale”, non solo in Italia, ma anche in Danimarca, Spagna, Argentina, Francia sottolineava una sottospecie della vasta famiglia liberale, in particolare i liberali anti-clericali".