Il parto è uno dei momenti più emozionanti ma anche più traumatico per la mamma e per il nascituro. Negli ultimi anni, per alleviare i dolori della donna durante le fasi del travaglio, fino alla fase espulsiva vera e propria, ma anche per rendere più confortevole il passaggio dalla vita intrauterina alla vita “esterna” per il nascituro, si è diffusa la pratica del parto in acqua. Sia in Italia che in altri Paesi, molti ospedali si sono attrezzati di conseguenza. Spesso arrivando anche a domicilio per favorire il parto in casa. Tuttavia, ancora oggi sono poco documentati i vantaggi di questa pratica mentre si vanno accumulando dati a sfavore, come la possibilità di contrarre delle infezioni da Pseudomonas aeruginosa e Legionella pneumophila.

Perché i ginecologi americani non vogliono raccomandarlo?

Negli ultimi anni, negli Stati Uniti, il parto in acqua ha visto un consenso crescente nelle donne perché attenuerebbe i dolori da travaglio, fino alla fase di espulsione. Ma questo è una valutazione soggettiva mentre non ci sono report ufficiali che evidenziano questi vantaggi. Ed è anche difficile fare una indagine retrospettiva sui bambini in quanto, sul certificato di nascita, non c’è traccia sulla modalità di parto eseguito.

Un parto in acqua ha dei costi accessori che comunque vanno ad incidere. Gli ospedali più avanzati stanno attrezzando apposite piscine mentre, per chi decide di partorire a casa, sono disponibili delle apposite piscine gonfiabili.

Tutto questo ha solo vantaggi o ci possono essere delle controindicazioni?

Secondo l'American College of Obstetricians and Gynecologists (Acog), non solo mancano dati per valutare rischi e benefici su questa pratica, ma sono stati anche riportati eventi avversi tra cui infezioni da Pseudomonas aeruginosa e Legionella pneumophila.

Tutto questo ha suggerito ai ginecologi americani di inserire nell’ultima versione delle loro linee guida - “Immersion in Water During Labor and Delivery”, la "non raccomandazione" al parto in acqua.

Da una revisione della Cochrane del 2009 sull’immersione in acqua durante le fase del travaglio, non è emerso alcun beneficio per il nascituro mentre, oggettivamente, può offrire dei vantaggi alla partoriente in quanto l’acqua, mantenuta ad una temperatura intorno ai 37 gradi, attenua il dolore, rilassa i muscoli e favorisce il transito del bambino nel canale del parto.

Perché partorire in acqua

Le donne che decidono di partorire in acqua fanno un minor ricorso all’analgesia spinale o epidurale, ma è importante che siano ben informate. Infatti ci sono tanti modi di gestire questa fase. La donna può decidere di stare in acqua nella fase preliminare e poi partorire regolarmente: in questo modo coglie solo i vantaggi dovuti all’effetto dell’acqua e alla temperatura, in termini di rilassamento della muscolatura e attenuazione del dolore ma poi la fase di espulsione di realizza nelle condizioni tradizionali. Ma può anche decidere di entrare in acqua solo durante l’espulsione del feto.

Informarsi è importante anche per un altro aspetto: non ci sono protocolli per selezionare le candidate così come per assicurare un’accurata manutenzione e pulizia delle vasche acquatiche.

Infine, non sono ancora omologate le procedure da seguire in caso complicazioni.

Per rispondere a tutte queste criticità, arrivano i consigli dell’Acog: 1) limitare l’immersione in acqua solo alla prima fase del travaglio; 2) la scelta del parto in acqua deve essere limitato a donne sane e con una gravidanza priva di complicazioni, tra la 37esima e la 42esima settimana; 3) informare le donne che non esiste un vantaggio documentato dalla letteratura clinica per questa pratica, così come dei rischi che si possono correre; 4) infine, i protocolli da seguire in caso di complicanze.

Tutti i centri maternità che decidono di offrire questa opzione, devono definire dei protocolli rigorosi che vanno a regolamentare tutte le fasi di questo processo, compreso le procedure da seguire in caso di emergenza.