Le donne soffrono molto di più degli uomini perché sono colpite in misura maggiore da una serie di sindromi dolorose. Sebbene la differenza di genere sia un concetto introdotto già dagli anni ’80, ancora oggi i due generi vengono trattati allo stesso modo, sia nelle diagnosi che nelle terapie. Il 22 marzo se ne è parlato a Milano in occasione dell’iniziativa NienteMale, dedicata alla gestione del dolore.

La conferma arriva da una vasta indagine

Un'indagine che ha coinvolto oltre 85mila adulti, di entrambi i sessi, di ben 17 Paesi in tutto il mondo, ha preso in esame tutte le sintomatologie dolorose nei due generi.

Prendendo in considerazione una sintomatologia dolorosa cronica, ne è afflitto il 45% delle donne rispetto a poco più del 31% degli uomini. Ad un mese dalla 2a Giornata Nazionale sulla salute della donna, se ne è discusso a Milano, nell'ambito della campagna di sensibilizzazione "NienteMale", sul dolore.

Il sesso femminile inizia ad essere più vulnerabile al dolore a partire dalla pubertà quando, per effetto degli ormoni sessuali sulle cellule che regolano le difese immunitarie, malattie infiammatorie e autoimmuni sono diagnosticate in misura doppia o tripla rispetto all’altro sesso. Ad esempio, le donne sono colpite 9 volte più degli uomini da lupus eritematoso sistemico, 6 volte da fibromialgia, 4 volte da cefalea primaria cronica e, in età post-menopausa, 3 volte da artrosi.

Ogni mese il ciclo mestruale sottopone l'organismo femminile a delle fluttuazioni ormonali, con il rilascio in circolo di sostanze infiammatorie che favoriscono l’insorgenza di processi infiammatori e dolorosi. Una categoria di cellule particolarmente interessate a questo meccanismo sono i mastociti, cellule del connettivo che tendono a concentrarsi nei vasi sanguigni e nel peritoneo. Se attivati, i mastociti scatenano una infiammazione acuta: è il caso dello shock anafilattico, delle allergie, delle crisi asmatiche. Questo giusto per dare una idea del ruolo che quelle cellule hanno nell’organismo e nella genesi del dolore.

Gli ormoni femminili vanno quindi a stimolare i mastociti che liberano alcuni mediatori dell’infiammazione proprio in prossimità delle cellule nervose.

Questo fenomeno favorisce la cronicizzazione del dolore, fino a diventare una manifestazione autonoma dall’infiammazione stessa (neuropatia).

La terapia di genere

Tutto questo impone un approccio differente nella gestione del dolore nei due sessi. Le donne hanno una soglia del dolore più bassa rispetto agli uomini, e questo a causa di differenti meccanismi endogeni deputati alla modulazione e al controllo del dolore. Anche le terapie antidolore rispondono in modo differente nei due sessi, sia sotto il profilo farmacodinamico (meccanismo di azione) che farmacocinetico (tempo di efficacia e metabolismo del farmaco).

Anche il profilo enzimatico epatico è differente tra uomo e donna, con ripercussioni dirette sul metabolismo dei farmaci, che dovrebbe portare alla prescrizione di farmaci con dosaggi differenti nei due generi.

Nelle donne, uno delle molecole antidolorifiche più efficace e meglio tollerata, è il paracetamolo (es. Tachipirina). Questo farmaco – considerato anche dall’OMS (organizzazione mondiale sanità) tra i più sicuri da usare in gravidanza – viene indicato nella dismenorrea, e in tutti i disturbi associati al ciclo mestruale. In farmacia il 60% di paracetamolo è venduto alle donne.

Di medicina di genere si è iniziato a parlare dagli anni ’80, negli USA. A distanza di trent’anni sappiamo che l’organismo maschile e quello femminile hanno diversa sensibilità, sia nello sviluppo della stessa patologia che nella risposta alla medesima terapia. Nel 1988 l'OMS aveva lanciato un appello alle Società Internazionali a dedicare maggiore attenzione a questo aspetto. Si ha l’impressione che ancora oggi, su questo fronte, non si siano fatti importanti passi avanti e che una diagnosi e una terapia vengono gestite nella stessa misura indipendentemente dal genere.