Il cognitivismo paragonava la mente umana al computer, all’epoca chiamato calcolatore. Probabilmente è su questa analogia che gli scienziati della Wake Forest Baptist e della University of Southern California hanno portato avanti la loro ricerca per creare una protesi che potesse migliorare la memoria. Infatti, le parole di Robert Hampson, ideatore di questo progetto, sembrano più quelle di un informatico che di un professore di fisiologia e neurologia. Gli scienziati avrebbero identificato il “codice” per la memoria della cellula cerebrale e sarebbero stati in grado di “scrivere dentro questo codice” per migliorare tale processo cognitivo. Un’operazione che, a leggerla, di fatto, sembra essere stata compiuta da degli hacker.

La stessa protesi è stata descritta come una sorta di “hack del cervello”. Il risultato ottenuto è stato un potenziamento della memoria del 35%.

Il disegno sperimentale

I soggetti scelti per la ricerca erano pazienti epilettici, che già facevano parte di uno studio volto ad identificare l’origine nel cervello delle loro convulsioni. Questi, monitorati attraverso degli elettrodi, sono stati sottoposti a dei test per la memoria. Di questi faremo un esempio per illustrare la procedura messa in atto. Ai soggetti è stato chiesto di ricordare un’immagine che avrebbero dovuto poi riconoscere tra una serie di fotografie simili ad essa, circa un’ora dopo. Nel mentre, gli scienziati hanno identificato gli schemi (il “codice”) che portavano ad avere una risposta corretta.

Hanno stimolato, così, le parti del cervello che si erano attivate, quando il soggetto dava la giusta risposta, ottenendo in un compito analogo un miglioramento della memoria del 35% rispetto all’inizio.

Con questa protesi non si recupera la memoria persa o danneggiata a causa di incedenti o malattie, ma si rafforza quella rimasta e questo è già un bel traguardo.

A beneficiare di questo impianto è la memoria a breve termine, che ha il compito di farci ricordare le informazioni appena apprese e di rielaborarle in termini che già abbiamo acquisito. Tali informazioni vengono poi o dimenticate o spostate nella memoria a lungo termine. "Spostare” è un termine improprio per descrivere questo meccanismo, ma rende chiaro il concetto.

A chi è rivolta questa protesi?

L’impianto creato da questo gruppo di scienziati è in grado, soprattutto, di aiutare la memoria in persone in cui, a causa di lesioni o malattie, questa è stata compromessa, dal momento che rafforza le capacità mnemoniche rimaste. Queste persone, così, hanno meno difficoltà nella creazione di nuovi ricordi. Infatti, la protesi è rivolta ai pazienti malati di Alzheimer, dove la memoria a breve termine è la prima a venire danneggiata, ma anche le persone che soffrono di altre malattie o che hanno subito degli incidenti possono beneficiarne. Lo studio, con il suo approccio diverso e innovativo, ha ottenuto risultati interessanti e, sebbene non abbia ancora raggiunto il traguardo, ha permesso alla ricerca di fare qualche metro in più.