Lo scompenso cardiaco è una situazione patologica in cui il cuore non riesce ad irrorare correttamente tutti gli organi o i tessuti del corpo. Spesso è un disturbo silente, infatti colui che ne è affetto non risente di particolari forme sintomatiche se non di affanno in seguito ad uno sforzo molto elevato; tuttavia coloro che in precedenza sono stati vittima di infarto, potrebbero essere maggiormente predisposti a lesione muscolare cardiaca e quindi a scompenso cardiaco. Un disturbo che si presenta in percentuale massiccia negli "over 65" infatti, secondo le dichiarazioni dei medici, il 3% dei ricoverati negli ospedali di Roma soffrono di questa patologia.
L'intervento e il dispositivo
La sigla "CCM" sta per "Cardiac Contractility Modulation" e la sua attività potrebbe ricordare quella del pacemaker, anche se in realtà non hanno quasi niente in comune. Il primo regola i livelli del calcio (regolando l'attività delle proteine coinvolte nel loro suo rilascio) nelle cellule, facilitandone la contrazione (che già autonomamente senza dispositivo avviene), mentre il secondo viene impiantato quando si parla di "blocco contrattile", ovvero "cessazione dell'attività contrattile del muscolo cardiaco"; vengono forniti impulsi elettrici verso le omonime cellule del cuore, riavviandone l'attività spontanea. L'operazione, durata circa 40 minuti, e portata avanti senza complicazioni in anestesia totale del 72enne, ha permesso a quest' ultimo di alzarsi dal letto già il giorno seguente.
Ancora italiani
La medicina italiana ci regala sempre grandi soddisfazioni e oggi il merito va al Dottor Stefano Bianchi, responsabile dell' Unità Operativa di Aritmologia ed elettrostimolazione dell'ospedale "Fatebenefratelli" di Roma, e al dottor Pietro Rossi, Cardiologo ed Elettrofisiologo plurispecializzato, operante al medesimo presidio ospedaliero del primo, entrambi con vasta esperienza nel settore.
La medicina e la ricerca scientifica in generale della nostra penisola si dimostrano in continua crescita e, come in ogni caso, anche stavolta a beneficiare di questa innovazione sarà sempre quella cerchia di malati di cuore (solo in Italia ne sono stimati circa 600mila casi) che prima si vedeva sottoposta a cure farmacologiche molto invasive, alle quali non rispondeva sempre in maniera ottimale, e che potevano portare allo sviluppo di ulteriori patologie correlate.