L’immunità che ci difende dagli attacchi di agenti patogeni (batteri e virus) può essere di due tipi, innata – quindi aspecifica – e acquisita o adattativa, in seguito all’esposizione di un agente infettante – quindi specifica. Ma i due illustri ricercatori Alberto Mantovani e Mihai G. Netea, in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, parlano di una immunità adattativa, una forma di “protezione agnostica”, dovuta a un innalzamento della soglia dell’immunità innata. E questa forma di protezione – aspecifica – viene favorita dalle vaccinazioni.
In altri termini, in questo momento vaccinarsi contro l’influenza, ad esempio, può renderci più resistenti anche verso il SARS-CoV-2.
Protezione agnostica contro il coronavirus
Nel 90% dei contatti con agenti patogeni, l’attacco viene neutralizzato da un sistema di immunità innata. Una prima linea di difesa contro batteri e virus. Una seconda linea di difesa, più efficiente ma che richiede una specifica attivazione, è l’immunità adattativa, ovvero la produzione di anticorpi specifici verso ogni tipo di agente patogeno. Lo stesso meccanismo con cui funzionano i vaccini.
Negli ultimi anni sta emergendo un'altra considerazione: i soggetti vaccinati verso specifici agenti, la tubercolosi, il morbillo, la difterite, il tetano, ecc.
risultano complessivamente più resistenti anche verso altri agenti patogeni (virus e batteri) verso cui non hanno avuto alcuna vaccinazione. Questa è una delle spiegazioni sul perché i bambini e i giovani sembrano più resistenti alla Covid-19, fascia di età dove si effettua un maggior numero di vaccinazioni. Per cui l’organismo dei soggetti giovani godrebbe di una forma di “protezione agnostica” anche verso agenti differenti, come può essere appunto SARS-CoV-2.
Un possibile meccanismo alla base di questa forma di protezione agnostica viene illustrato sulle pagine della prestigiosa rivista medica New England Journal of Medicine, con un articolo intitolato: “Trained Innate Immunity, Epigenetics and Covid-19” scritto da due scienziati di fama mondiale, l’italiano Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University, e Mihai G.
Netea, medico e professore olandese rumeno dell'Università Radboud di Nimega, specializzato in malattie infettive, immunologia e Salute globale.
Le cellule mieloidi producono molecole effettrici e contribuiscono all'attivazione, all'orientamento e alla regolazione delle risposte immunitarie adattative. Una qualsiasi vaccinazione stimola queste cellule del midollo osseo (monociti, macrofagi e neutrofili), in particolare i macrofagi: cellule che fanno parte del sistema immunitario e sono gli attori principali dell’immunità innata. La base cellulare di questa immunità adattativa è una riprogrammazione funzionale delle cellule dell’immunità innata. Questo fenomeno è stato osservato per la prima volta in organismi invertebrati.
La somministrazione di vaccini vivi attenuati (es, del BCG, il vaccino della tubercolosi) o strutture fungine (come beta-glucani e lipopolisaccaridi) potenzia di molto e per molto tempo la funzione antimicrobica nelle cellule mieloidi. Quello che è stato osservato in queste cellule (mieloidi) è un cambiamento della cromatina e, conseguentemente, un'alterazione dell’accessibilità agli elementi regolatori del DNA che governano la trascrizione genica.
In altri termini, la stimolazione delle cellule immunitarie innate (ad esempio con i vaccini) può lasciare una "cicatrice epigenetica" che va a potenziare nel tempo la risposta immunitaria innata dell'ospite. Su basi genetiche.
Allenare il sistema immunitario
Il concetto dell’immunità adattativa e protezione agnostica può essere semplificato paragonando il sistema immunitario al sistema muscolare. Se un soggetto si allena regolarmente, quando deve far fronte a uno sforzo imprevisto avrà la forza per farvi fronte, senza farsi male. Anche se non aveva fatto un allenamento specifico per quello sforzo. Lo stesso, a parere di questi scienziati, succede con il nostro sistema immunitario: se viene “allenato” contro molti batteri e virus, producendo anticorpi specifici, quando veniamo in contatto con un agente infettivo “nuovo”, verso cui non abbiamo “anticorpi specifici”, non avremo certamente una risposta efficiente come quella assicurata dagli anticorpi, ma comunque riusciremmo ad affrontarla meglio.
Come allenare il sistema immunitario innato? Sottoponendosi alle vaccinazioni raccomandate, compresa quella influenzale. Importante inoltre è mantenere uno stile di vita sano altrimenti se si mangia male, si fuma e non si fa alcuna attività fisica il sistema immunitario ne risente e diventa più vulnerabile. Questo concetto può essere riassunto con tre numeri: 0-5-30. Ogni giorno zero sigarette, 5 porzioni di frutta e verdura fresca e 30 minuti di esercizio fisico.
Studi epidemiologici stanno confermando questo concetto di “allenamento del sistema immunitario”. Ad esempio, vaccinarsi contro la tubercolosi o contro il morbillo può innalzare la soglia di protezione verso le infezioni respiratorie.
Al momento sono solo indicazioni ma i dati accumulati vanno in questa direzione.
Uno studio pubblicato a fine luglio su un'altra prestigiosa rivista, PNAS, dal titolo “BCG vaccine protection from severe Coronavirus disease 2019 (COVID-19), prima firma Luis E. Escobar, metteva in relazione la vaccinazione contro la tubercolosi (BCG) e una maggiore resistenza alla Covid-19. Una cosa analoga è ipotizzabile con la vaccinazione antinfluenzale. Ovviamente sono tutte ipotesi che vanno ancora dimostrate e gli scienziati continuano ad accumulare dati e a monitorare ogni situazione per cercare di arrivare a delle conclusioni basate su evidenze cliniche più robuste.
Ma è importante sapere che vaccinarsi non solo è una valida forma di protezione specifica ma può essere anche una forma di protezione più ampia, anche verso agenti patogeni nuovi, come appunto il coronavirus.