Per la serie BlastingTalks intervistiamo la presidente di Fondazione Progetto Itaca Onlus Felicia Giagnotti. La Fondazione promuove programmi d'informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della salute mentale e alle loro famiglie.

Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali. Leggi le altre interviste della serie sul canale BlastingTalks Italia.

Iniziamo raccontando ai lettori com’è nata la vostra organizzazione…

La nascita di Progetto Itaca è avvenuta a Milano nel 1999 per iniziativa di un gruppo di sette persone. Erano tutti familiari di persone con disagio mentale oppure che soffrivano di disturbi psichiatrici, seppure gestiti e ben curati con la consapevolezza della malattia. Tutte queste persone avevano fatto la stessa esperienza. Quando era comparsa la malattia su loro stessi o sui propri familiari, nonostante fossero tutte persone di ottima cultura e di buone relazioni, avevano vissuto dei drammi terribili non sapendo a chi rivolgersi.

E poi cos’è accaduto?

Stiamo parlando di oltre 20 anni fa, quando questa malattia era poco accettata e riconosciuta.

Quindi molti hanno vagato alla ricerca delle soluzioni più diverse: il neurologo, lo psicologo consigliato dai conoscenti o dagli amici, il sacerdote. Ma in questo genere di malattie la diagnosi precoce è fondamentale, perché se passano anni la situazione può cronicizzarsi. Avendo tutti in comune queste esperienze emerse che la prima cosa importante da fare era una corretta informazione.

Informare per far conoscere la malattia, per togliere i sensi di colpa che accompagnano spesso le persone colpite e i familiari. Inoltre, l’informazione porta alla consapevolezza e quindi alla conoscenza.

Come si è collegato tutto ciò con il Progetto Itaca?

Progetto Itaca è nato per dare informazioni, conoscenze e consapevolezza alle persone che soffrono di disturbi psichiatrici e alle loro famiglie.

Il nostro primo progetto è stato una linea d’ascolto (allora Itaca Milano), al cui numero di telefono, ampiamente pubblicizzato, iniziarono ad arrivare sempre più telefonate di persone che necessitavano di ascolto o sostegno.

Quindi da questo punto di partenza come si è evoluta la situazione?

Con il passare degli anni sono successe diverse cose. Abbiamo iniziato a ricevere richieste di aiuto non solo da Milano e provincia, oppure dalla regione Lombardia. Sono iniziate le sollecitazioni da altre parti del Paese. A questo punto abbiamo deciso di creare la Linea d’Ascolto nazionale (800.274.274; per chiamate da cellulare: 02.29007166), la chat e l’email. Per cui le richieste sono giunte da tutte le parti d’Italia.

Siamo quindi usciti dall’ambito regionale creando sedi regionali, come Roma, Firenze, Palermo. Nel 2012 abbiamo creato una Fondazione dentro la quale si raccolgono tutte le sedi, che oggi sono 15 in tutta Italia. Cresceranno ulteriormente perché a marzo nascerà Itaca Bari e a giugno Itaca Bergamo.

Qual è stato l’impatto di questa crescita sui vostri progetti?

La crescita ci ha portato a sviluppare tutti i nostri progetti. Da quelli iniziali appena descritti sono seguiti i gruppi di Auto Aiuto. Poi abbiamo iniziato a impegnarci molto nelle campagne di comunicazione, per un messaggio rivolto alla società intera sulla Salute Mentale. Ma abbiamo anche abbracciato altri due percorsi, ovvero quello della prevenzione e della riabilitazione, attraverso la creazione di Club Itaca, (centro diurno non terapeutico che si occupa d'inclusione e riabilitazione sociale, relazione e lavorativa), JOB Stations (centro di lavoro a distanza assistito per l’inclusione lavorativa di persone con un disagio psichico) e Rotta Verso Casa (percorsi di autonomia abitativa).

Può spiegarci qual è il fulcro della vostra missione e come operate sul territorio?

Il fulcro della nostra missione consiste nel contrastare lo stigma e il pregiudizio che per decenni e decenni ha colpito il disagio psichico. Un pregiudizio legato all’idea di colpa da parte della madre o della famiglia, con un’impostazione anche culturale che poi è diventata una mentalità comune. Quindi lo stigma implica che non vi è il riconoscimento di una malattia, ma piuttosto si adduce al cattivo carattere, alla mancanza di volontà o di darsi da fare. Invece le ricerche dimostrano già da 30 anni che sullo sviluppo di questa malattia intervengono tutta una serie di altri fattori, come sociali, familiari, lavorativi, personali.

La nostra missione è diffondere questa scientificamente corretta immagine della malattia, svolgendo un lavoro culturale di cambiamento della mentalità sulle cause e sulla sua cura. Come operiamo sul territorio? Milano è stata la fucina, dove sono nati tutti i progetti e i collegamenti nazionali e internazionali. Una volta che questo passaggio è stato messo a punto, lo abbiamo riprodotto nelle varie sedi regionali. Quindi tutti i nostri progetti vengono ripresi territorialmente.

Quali valori avete messo alla base della vostra attività e in che modo vengono concretizzati nel quotidiano?

Il rispetto della persona. L’accoglienza e l’inclusione. La fiducia, che rappresenta anche la speranza, perché c’è una visione pessimistica del disturbo mentale.

Spesso si sente parlare d'incurabilità. Ma in realtà questa è una malattia curabilissima.

Si parla spesso di “stigma” della malattia mentale, ma molti ignorano il significato e l’impatto reale di questo termine: ci può fornire una spiegazione concreta?

Lo stigma è un pensiero preconcetto che non nasce da una conoscenza scientifica, ma da un’opinione diffusa e non verificata. Allo stigma si accompagna il pregiudizio. Entrambi si manifestano con l’idea che il disturbo mentale non rappresenti una malattia. Con l’idea di colpa della persona e della sua famiglia. Con l’idea che sia incurabile. Con l’idea della violenza, oppure con il pregiudizio che le persone malate siano violente. Con il pregiudizio sugli psicofarmaci, sui quali c’è una specie di rifiuto che paradossalmente non si ha sugli altri farmaci.

Per cui fondamentalmente si arriva alla svalutazione della persona malata, e anche alla svalutazione della famiglia. La malattia viene quindi considerata come una piaga dalla quale non ci si potrà più riprendere.

Qual è stato l’impatto della pandemia sulla salute mentale della popolazione e in che modo sono cambiati i vostri interventi?

La nostra rete riceve circa 12mila telefonate annue. Durante la pandemia i numeri si sono moltiplicati del 150%. Quindi abbiamo avuto un aumento esponenziale delle richieste di aiuto e di supporto. Il 50% di queste chiamate erano di persone che denunciavano ansia e depressione, con percentuali raddoppiate rispetto agli anni precedenti. Abbiamo anche un servizio che si chiama Itaca Incontra, con un rapporto diverso dalla Linea d’Ascolto, attraverso il quale le persone possono avere un incontro diretto con i nostri volontari.

In pochi mesi questo progetto ha avuto una vera e propria esplosione. Nella seconda metà del 2020 ci sono stati quasi 500 incontri, di cui la maggior parte per attacchi di panico e depressione.

E rispetto al progetto di prevenzione nelle scuole?

Per quanto riguarda il progetto di prevenzione nelle scuole, abbiamo incontri sia in presenza che online nelle scuole superiori. Nella scuola portiamo lo psichiatra con l’obiettivo di dare un’informazione corretta sui sintomi, sulla differenza tra sintomi premonitori o disturbi relazionali. Quindi facciamo informazione, distinguendo il malessere giovanile dell’adolescenza e i sintomi precoci della malattia. I confini possono essere molto labili, ma con una chiara visione del disagio si può intervenire precocemente.

Il Progetto Scuola ha raggiunto decine di migliaia di studenti. In questo contesto è venuto anche fuori che gli insegnanti hanno chiesto aiuto. E allora abbiamo creato un progetto rivolto anche agli insegnanti e ai familiari. In sintesi, con la pandemia è aumentato il disagio giovanile e si è registrato un abbassamento dell’età d’insorgenza, tanto che ora ci chiamano anche dalle scuole medie.

Quale contributo può effettivamente dare una persona per dare un aiuto concreto rispetto alle tematiche di cui abbiamo parlato?

I contributi sono tanti e sono anche diversi. Abbiamo bisogno di volontari preparati e quindi una persona si può avvicinare all’Associazione anche per fare volontariato. Ma ci sono tante altre modalità concrete di aiuto.

Facciamo eventi, abbiamo un evento nazionale che si chiama “Tutti Matti per il Riso” nella settimana della Giornata Mondiale della Salute Mentale. In questa manifestazione scendiamo in piazza con dei banchetti. Distribuiamo materiale informativo e incontriamo le persone offrendo un pacchetto di riso in cambio di una piccola donazione. Anche chi non può fare volontariato può partecipare ai banchetti in quella circostanza, oppure alle iniziative locali. E poi può partecipare semplicemente venendo a fare un corso, raccogliendo le informazioni e portando quanto acquisito nel proprio ambiente. Quindi tutto dipende dal tempo, dal desiderio della persona. Abbiamo un giornale che si chiama Itaca News e che pubblichiamo due volte l’anno.

All’interno viene dato conto di tutto ciò che fa Itaca in Italia. Infine, si può contribuire semplicemente con il cinque per mille, grazie al quale è possibile supportare tutte le nostre iniziative.

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