"L'obiettivo della mia carriera? Quello di essere come Muhammad Ali". Inizia con queste parole l'intervista di Nino La Rocca a 'Quelli della Luna', trasmissione condotta da Giampiero Mughini in onda su Rete 4. In una serata dedicata a campioni immensi come Diego Maradona, Roger Federer, Ayrton Senna, Leo Messi, Gigi Buffon e Ruud Gullit c'è spazio anche per la boxe e per un pugile capace di conquistare il cuore degli italiani negli anni '80, pur non riuscendo mai a vincere il titolo mondiale. Cheid Tijani Sidibe, questo il suo vero nome, nato in Mauritania da padre maliano e mamma siciliana, emigrato successivamente in Francia dove inizia a boxare e poi in Italia.

Una storia, la sua, che lo ha portato dalla polvere all'altare e, successivamente, ancora nella polvere. Ma lui la prende con filosofia: "La vita è stupenda", ribadisce in più di un'occasione. Il soprannome 'The Italian Alì' gli venne dato dalla stampa americana.

'Se non andavo in palestra non mangiavo'

Nino La Rocca racconta dunque la sua vita e la sua carriera. Impossibile scinderle, perché la boxe è stata la sua vita. "Mi ricordo quando siamo venuti in Europa, fu un viaggio molto pesante perché eravamo poveri. Andammo a Parigi dove c'era lo zio Mariano e fu lui ad iniziarmi alla boxe, ma in quel periodo se non andavo in palestra non mangiavo". Poi spiega come è arrivato in Italia. "Mia mamma italiana, l'Italia era nel mio cuore ed ho preso contatti con un manager, Rodolfo Sabatini a Genova.

Lui mi presentò a Rocco Agostino". Nino è un pugile di grande talento, tecnico, veloce ed aggressivo, incredibilmente rapido sulle gambe sa essere letale. Sotto la guida sapiente di Agostino si costruisce un recordo davvero invidiabile, oltre 50 combattimenti tutti vinti, la maggior parte prima del limite. Sono anni di grande popolarità per la boxe in Italia e Nino è tra i pugili più amati: i suoi match regalano scintille e spettacolo, riempie i palasport e diventa un vero idolo.

La cittadinanza italiana grazie a Pertini

Gli manca qualcosa che lui desidera con tutto il cuore, la cittadinanza italiana. Lui la chiede a gran voce nel 1983, nel corso di una trasmissione condotta da Gianni Minà. "C'era un grande presidente come Sandro Pertini, io gli lanciai un appello perché volevo essere italiano e lui chiamò in diretta.

Venga... venga da me.. mi disse. Fu un momento bellissimo". Un ricordo piacevole che, ancora oggi, gli fa brillare gli occhi che, al contrario, diventano tristi quando si parla di Manuela Falorni, fotomodella e indossatrice poi diventata una diva del genere 'adult' con il nome d'arte de 'La Venere Bianca'. Nino sposa Manuela, ma non sarà un'esperienza felice. "In quel momento sentivo il bisogno di avere accanto una persona da amare, ma se dovessi tornare indietro non lo rifarei mai più. Ricordo di una sera in cui per lei spesi 30 milioni.. no dico... 30 milioni di lire? Vi rendete conto di quanti soldi erano negli anni '80?".

Le sfide europee e mondiali

La prima occasione per un titolo arriva il 18 febbraio del 1984, a Capo d'Orlando c'è in palio la cintura di campione europeo dei pesi welter.

L'avversario è tutt'altro che irresistibile, il francese Gilles Elbilia. La Rocca mostra in tv l'arcata sopraccigliare che porta ancora i segni di quella sera: "Una testata - dice - ho perso il titolo per una testata. La vita è destino, ero convinto di poterlo battere con una sola mano e, invece, una testata mi costrinse al ritiro: ho avuto trenta punti di sutura". La prima sconfitta della carriera non gli impedisce però, a settembre dello stesso anno, di salire sul ring di Montecarlo e sfidare Don Curry per il titolo mondiale dei pesi welter versione WBA e IBF. Il 'Cobra' però si dimostra un avversario al di là delle sue forze, La Rocca va k.o alla sesta ripresa e da quel momento inizia la parabola discendente della sua carriera, sebbene nel 1989 riesca finalmente a conquistare una cintura, quella di campione europeo dei pesi welter contro Kirkland Laing che perderà pochi mesi dopo.

La polemica

Il suo primo ritiro avviene nel 1989, quando appunto viene detronizzato da Antoine Fernandez. I suoi tentativi di tornare sul ring in seguito non hanno avuto fortuna, in merito lui ha le idee ben chiare e si scaglia contro i vertici italiani del pugilato. "Mi hanno chiuso la carriera a trent'anni, mi hanno fatto fuori perché in Italia se non sei ruffiano e se dici le cose come stanno non vai avanti, se non baci le mani a qualcuno. Ma io non ho mai baciato le mani a nessuno". In seguito gli verrà anche negata la possibilità di diventare maestro di boxe e, per protesta, si incatenerà davanti Palazzo Chigi. "Non avevo il patentino e, secondo loro, non potevo insegnare la boxe. Io che ho combattuto per titoli europei e mondiali non potevo insegnare la boxe".

Seguirà per lui un periodo molto buio in cui cadrà nel vortice della depressione e dell'alcol. "Un periodo delicato, bevevo tanto e mi facevo del male. Ho cercato di morire, ma poi un giorno ho detto basta ed ho smesso di bere". Nino si guarda indietro e non rimpiange nulla della sua vita, o quasi nulla. "Talvolta penso che mi sono mancate le carezze di una mamma e di un papà. Sono andato via di casa che ero piccolo, sono nato da solo e sono cresciuto da solo". Non nasconde il suo desiderio di voler tornare nella sua Africa, un giorno non lontano. "Perché no? Sono venuto qui povero e tornerò povero in Africa perché (si ferma un attimo e sorride)... perché (lo ripete altre due volte)... perché è la vita, ma la vita è stupenda".