La pressione psicologica nel tennis professionale non è più un tabù. Da Naomi Osaka ad Alexander Zverev, fino a Ons Jabeur, sempre più campioni hanno deciso di raccontare fragilità e momenti di crisi, aprendo un nuovo capitolo sul rapporto tra sport d’élite e salute mentale.

Quando gli atleti d’élite gettano la maschera

Le sfide psicologiche nel tennis professionale sono molteplici e spesso sottovalutate: mantenere il ranking nel circuito, rispettare gli obblighi verso gli sponsor, gestire l’attenzione mediatica e le critiche pubbliche. Forse a inaugurare questo cambiamento è stata Naomi Osaka, che nel 2021 si ritirò dal Roland Garros a causa di ansia e depressione.

Nell’era dei social media questa pressione è ulteriormente amplificata, come ha spiegato la tennista statunitense Jessica Pegula: “Molte persone non si rendono conto di quanti messaggi negativi riceviamo, indipendentemente dal fatto che vinciamo o perdiamo”.

Un altro caso che ha scosso l’ambiente è stato quello di Alexander Zverev. Finalista agli Australian Open (gennaio 2025), Zverev ha poi rilasciato dolorose dichiarazioni dopo l’eliminazione al primo turno di Wimbledon: "Mi sento molto solo, in campo e fuori. Mi manca la gioia in tutto quello che faccio. Va al di là del tennis". Per la prima volta nella sua vita, il tedesco ha ammesso che probabilmente avrà bisogno di iniziare un percorso di terapia.

Madison Keys, vincitrice degli Australian Open 2025, ha sottolineato come la terapia l'abbia aiutata a separare la sua identità di persona da quella di tennista: "La nostra identità diventa molto legata all'essere un giocatore di tennis. Settimane, mesi o anni difficili nel tour, possono influire parecchio su come e cosa pensi di te stesso". Anche Aryna Sabalenka, attuale numero 1 del circuito WTA, ha dichiarato di aver fatto psicoterapia per cinque anni, sottolineando l'importanza di parlare apertamente delle proprie difficoltà.

L'ultima a unirsi a questo movimento è stata Ons Jabeur, ex numero 2 mondiale e finalista in tre tornei del Grande Slam. Ha annunciato sui social la decisione di prendersi una pausa dal tennis.

"Negli ultimi due anni ho lavorato così tanto, affrontando infortuni e molte altre sfide. Ma, nel profondo, non mi sento più felice in campo", ha confessato. Nel documentario "This Is Me", ha rivelato che se avesse vinto la finale, avrebbe preso una pausa dal circuito per diventare madre. "È stata la sconfitta più dura della mia carriera perché emotivamente mi ha distrutta, non solo per non aver vinto Wimbledon, ma perché anche l’idea di avere un bambino è svanita insieme al trofeo", ha confessato.

Un cambiamento culturale e non solo

La buona notizia è che il mondo del tennis ha intrapreso passi concreti per risolvere questi problemi. Tra questi si può citare il "Threat Matrix", lanciato nel 2023 da ITF, WTA, All England Club e USTA, che utilizza l’intelligenza artificiale per monitorare gli account social dei giocatori, riconoscendo messaggi d’odio in 35 lingue.

I primi risultati hanno rivelato la gravità del problema, con 15 casi denunciati alle forze dell'ordine e centinaia di messaggi d’odio bloccati.

Sul fronte del supporto diretto, la WTA ha stretto nel 2022 una partnership con Modern Health per fornire servizi di benessere mentale professionale, mentre BetterHelp, WTA e Venus Williams hanno creato un programma da 2 milioni di dollari per offrire terapia gratuita. Dal 2024, Tennis Canada (federazione nazionale dedicata ai tennisti canadesi), in partnership con l'Università di Ottawa, ha introdotto un programma di supporto psicologico che si estenderà dal Centro Nazionale Tennis (struttura di riferimento con campi e uffici) fino ai club provinciali: un modello che altre federazioni stanno già considerando di replicare.