Molto spesso si sente dire in giro che il Fisco italiano è forte con i deboli e deboli con i forti, soprattutto per i diversi accordi transattivi con grandi evasori accertati, tra cui anche diversi personaggi pubblici, che sono stati conclusi in questi anni. E se certamente si tratta di una procedura legale che ha consentito al Fisco di recuperare base imponibile, certamente per la maggioranza dei cittadini italiani, che le Tasse le pagano fino all'ultimo centesimo, era percepita come una palese ingiustizia. Ora la Corte di Cassazione è intervenuta sull'argomento con una pronuncia che farà certamente discutere e dai potenziali effetti dirompenti.

Infatti, con la Sentenza 47287/2019 della Terza Sezione Penale depositata ieri 21 novembre 2019 è stato cristallizzato il principio che nel caso di reati tributari il contribuente - evasore non può accedere al beneficio del patteggiamento della pena a meno che non provveda preliminarmente a saldare il debito con il Fisco.

I fatti che hanno portato alla pronuncia della Cassazione

Il Supremo Collegio si è trovato di fronte al ricorso presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Firenze che ha impugnato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Livorno nei confronti di un imprenditore che si era reso colpevole del reato di omessa dichiarazione Iva, disciplinato dall'articolo 5 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n° 74.

L'imprenditore era stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione. Ma la pena detentiva era stata condizionalmente sospesa dal Tribunale di Livorno in base all'articolo 444 del codice di procedura penale e successivi. In pratica, il giudice di prime cure aveva concesso il patteggiamento all'imputato. Il Procuratore Generale della Repubblica ha contestato tale decisione e impugnato la sentenza davanti alla Cassazione in quanto riteneva fosse stato violato il disposto dell'articolo 13 bis del Decreto Legislativo 10 marzo 2000 n° 74 in tema di "Circostanze del reato".

Inoltre, il Procuratore Generale della Repubblica contestava anche il fatto che al debitore - evasore non fosse stata applicata neanche la sanzione penale della "Confisca" disciplinata dall' articolo 12-bis dello stesso Decreto Legislativo 74/2000.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

Il giudice di legittimità ha ritenuto fondato il ricorso presentato dal Procuratore Generale della Repubblica.

Il Supremo Collegio ha ritenuto di accogliere in toto il punto di vista del Procuratore Generale, tanto più che il contribuente evasore non avrebbe solo mancato di saldare l'intero debito, ma non avrebbe neanche avviato la procedura del ravvedimento operoso. La Corte di Cassazione chiarisce, infatti, che il cosiddetto "patteggiamento" disciplinato dagli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale è un rito speciale a cui può darsi seguito, a norma dell'articolo 13- bis del Decreto Legislativo 74/2000, solo dopo che il contribuente - evasore abbia provveduto ad estinguere i debiti tributari. E ciò deve avvenire, imprescindibilmente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

Per di più, precisa la Corte, se il contribuente - evasore avesse provveduto all'integrale pagamento del debito tributario, oltre ovviamente a sanzioni e interessi, si sarebbe ricaduti nella causa di non punibilità per tale reato normativamente disposta dall'articolo 13, comma 2, del Decreto Legislativo 74/2000. Di conseguenza, chiarisce la Cassazione, non sarebbe stato necessario fare ricorso al patteggiamento. Infatti, in tal caso il giudice avrebbe pronunciato una sentenza di assoluzione. Solo al di fuori di questi casi, specifica la Suprema Corte, sarebbe teoricamente possibile accedere al rito speciale del patteggiamento, come previsto dall'articolo 13-bis, comma 1, del Decreto Legislativo 74/2000.

Altra possibilità per accedere al patteggiamento, secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione, è che il contribuente - evasore provveda al pagamento integrale del debito tributario, oltre sanzioni e interessi, una volta venuto a conoscenza di accessi, verifiche o ispezioni da parte dell'amministrazione finanziaria ma, comunque, sempre prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. In questo caso, infatti, non potrebbe trovare applicazione la causa di non punibilità ma solo il rito speciale del patteggiamento. Da ciò deriva che il tribunale di merito ha errato applicando la cosiddetta diminuente del patteggiamento in quanto non ne esistevano i presupposti.

Ed avrebbe ulteriormente errato, secondo la Cassazione, non applicando all'imputato la sanzione obbligatoria della confisca che, come specifica l'articolo 12-bis del Decreto Legislativo 74/2000 è sempre applicata in questi casi. Per tali motivi la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza del Tribunale di Livorno.