Più usato di iTunes, grazie alla maggiore flessibilità che garantisce (si sa che sui prodotti Apple vige un sistema protezionistico prossimo alla blindatura, che li rende particolarmente invisi ai sostenitore del web open source), e potenzialmente più redditizio persino dell'intoccabile Youtube, che peraltro ha i suoi bei problemi da risolvere in mezzo mondo per quanto riguarda la gestione del copyright. Il fenomeno spotify non sembra conoscere crisi, e mentre le leggi di mercato hanno falcidiato senza pietà i servizi di streaming e peer to peer musicali (come sono lontani i tempi in cui tanti musicisti poco lungimiranti si accanivano contro il primordiale e tutto sommato indifeso Napster...), la compagnia fondata da Daniel Ek e Martin Lorentzon si avvia con successo a concludere il primo bilancio annuale con un fatturato superiore ai due miliardi di euro (nel 2015 ci era andata vicina).

Ora la compagnia svedese - oggi con sede centrale a Londra, pur mantenendo un quartier generale nel centro di Stoccolma - aggiunge un altro tassello alla sua galassia di applicazioni a supporto del software madre. È di ieri, infatti, la notizia dell'acquisizione da parte di Spotify della startup statunitense Preact. Per ora le cifre della transazione non sono state divulgate.

Identità e mission di Preact

Di cosa si occupa, nello specifico, questa azienda, e soprattutto perché Spotify ha deciso di includerla nella propria galassia? Preact è una società fondata nel 2012 a Los Angeles, e si occupa sostanzialmente di data analysis: attraverso un algoritmo creato all'uopo, e una serie di misurazioni da web 1.0 - unique visitors, contatti totali, sottoscrizione -, riesce a definire i gusti degli utenti di un servizio che - come Spotify, appunto - preveda una sottoscrizione, e persino a individuare le "esche" giuste per attirare nuovi potenziali clienti e minimizzare il numero di unsubscriber.

In quattro anni di vita, Preact si è costruita una solida reputazione nell'ambito delle analisi di mercato a livello di marketing online, raccogliendo investimenti superiori ai dodici - qualcuno dice sedici - milioni di dollari, pur operando principalmente nel comparto, relativamente ristretto, del B2B. Sin troppo ovvia l'utilità individuata da Spotify nell'ambito di un aumento del ventaglio dei propri clienti/subscribers, che lo scorso settembre ha raggiunto la cifra ragguardevole di 40 milioni.

Grandi manovre

Al momento, non è ancora stato reso noto se Preact dismetterà il suo portfolio di clienti abituali per dedicarsi esclusivamente alla nuova proprietà. Di sicuro, sono già in corso le grandi manovre tipiche di una fusione aziendale. Pare infatti che l'intero team della startup sia già in fase di trasloco negli uffici di proprietà di Spotify a New York e San Francisco, allo scopo di lavorare fianco a fianco con i creativi del colosso dello streaming musicale. Obiettivo, non dichiarato ma ampiamente credibile: 50 milioni di utenti entro il 2019.