Settimio Colangelo è uno dei nomi più interessanti della produzione televisiva italiana contemporanea. Manager di talento fin da giovanissimo, ha fondato la sua società, Colangelo Management, dedicata al management artistico e alla produzione di contenuti televisivi, cinematografici e di intrattenimento. Recentemente il suo nome è sotto i riflettori vista la fiction della Rai Fiction — L'Appartamento Sold Out — una serie che affronta temi attuali come l’abitazione, l’integrazione e il confronto sociale, in chiave tanto drammatica quanto umanista.

Con questa operazione, Colangelo dimostra di voler non soltanto gestire talenti, ma di voler costruire contenuti significativi e contemporanei, capaci di raccontare l’Italia del presente con uno sguardo autentico, aperto, e — quando serve — critico. In questo momento di grande fermento creativo, la redazione di Blasting News l'ha contattato per parlarci anche dei suoi progetti futuri.

Settimio Colangelo: 'È stato l’avvocato Giorgio Assumma, che segue gli aspetti legali della mia società, a introdurmi a questo universo'.

Lei è passato dal management di artisti — con nomi importanti — alla produzione diretta di serie e programmi. Quando e perché ha deciso di compiere questo salto, da manager a produttore?

'Mi sono avvicinato alla produzione diversi anni fa, quasi senza accorgermene, attraverso la lettura. È stato l’avvocato Giorgio Assumma, che segue gli aspetti legali della mia società, a introdurmi a questo universo. Ogni volta che entravo nel suo studio lo trovavo immerso nei libri, a leggere, annotare, approfondire. Un uomo di novant’anni che continua a studiare con la stessa curiosità di un ragazzo. Per me è sempre stato un maestro di vita. Da quell’esempio è nato il mio desiderio di esplorare storie, di comprenderle e, soprattutto, di raccontarle. Ancora oggi mi occupo del management di artisti noti, ma nel tempo ho sentito crescere una spinta naturale verso la produzione, maturando il desiderio di partecipare alla nascita dei progetti fin dalla scintilla iniziale.

Produrre significa unire competenze creative e gestionali, significa dare forma a idee che sento vicine e che desidero trasformare in narrazioni concrete, ampliando il mio modo di lavorare grazie alla possibilità di generare storie, non solo di accompagnarle. Un percorso che mi ha arricchito profondamente, umanamente e professionalmente'.

La sua società, Colangelo Management, ha una lunga storia di collaborazioni con artisti e progetti televisivi. Quali valori guidno la sua attività di produzione e management, e come cerca di coniugare visione creativa e sostenibilità economica?

'Mi guidano da sempre valori fondamentali come il rispetto, ascolto e responsabilità. Credo che ogni progetto di lavoro debba nascere da un confronto autentico tra persone e dalla volontà di creare qualcosa che sia realmente sostenibile, non solo sul piano economico ma anche umano.

Amo profondamente l’Italia, la sua cultura e la sua capacità di generare storie. Questo amore mi ha insegnato il valore della correttezza, una bussola che seguo in ogni scelta professionale. Come ricorda Pavese, "la vita è l’arte dell’incontro", ed è proprio nell’incontro, sincero e trasparente, che nascono i progetti migliori. In Colangelo Management cerchiamo costantemente questo equilibrio preservando la visione creativa, ma accompagnarla con una struttura solida e responsabile. Credo nella forza delle idee, ma credo altrettanto nella concretezza e nel lavoro di squadra, perché solo unendo queste dimensioni si costruiscono progetti che durano nel tempo. Ogni progetto nasce dal confronto con le persone e dalla volontà di realizzare qualcosa che sia sostenibile, non solo economicamente ma anche umanamente.

Credo nella creatività, ma credo altrettanto nella concretezza e nel lavoro di squadra'.

Con L'Appartamento Sold Out avete scelto di portare sullo schermo un tema molto attuale: l’emergenza abitativa, la multiculturalità, la convivenza forzata. Cosa l’ha colpita di questa storia e perché ha deciso di puntare su questo progetto?

'Il tema dell’emergenza abitativa mi sta profondamente a cuore, avendo amici che, dopo una vita di sacrifici, si sono ritrovati con la casa occupata. Seguo da anni le inchieste di Mario Giordano e so quanto questa realtà sia dolorosa e spesso ignorata. Quando Apolloni mi ha proposto L’Appartamento Sold Out, ho sentito il dovere di raccontare questa storia con delicatezza e ironia, unendo il tema delle occupazioni a quello della multiculturalità e della convivenza forzata.

È una storia che parla di fragilità, ma anche di incontri e seconde possibilità'.

La fiction è diretta da Giulio Manfredonia e Francesco Apolloni, con un cast variegato. Com’è nata la collaborazione con loro — e come è stato lavorare con un team che mescola attori italiani e giovani talenti emergenti?

'Conosco Francesco Apolloni da molti anni e ricordo ancora la prima volta in cui mi parlò dell’idea de L’Appartamento Sold Out, mi colpì subito per la sua forza narrativa. Nel tempo abbiamo scoperto di condividere lo stesso sguardo sulle storie e sulla loro umanità. L’arrivo di Giulio Manfredonia ha reso il progetto ancora più solido: il suo linguaggio registico, unito a quello di Apolloni, ha creato un equilibrio prezioso.

Lavorare con un cast che unisce attori italiani affermati e giovani talenti è stato un valore aggiunto. Questa mescolanza ha portato energia, autenticità e una freschezza che si percepisce in ogni scena. Ognuno ha portato qualcosa di proprio, e proprio da questa diversità, professionale e generazionale, nasce la vitalità della serie'.

Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate durante la produzione di L'Appartamento Sold Out — per esempio nella fase logistica, di casting o di scrittura — e come le avete superate?

'Le difficoltà non sono mancate, come accade in ogni produzione. Per fortuna sono state tutte superabili e, anzi, utili, obbligandoti a non rimanere fermo, a lavorare ogni giorno con lucidità e attenzione.

In fase di scrittura ho avuto modo di conoscere da vicino il reparto scrittura di Rai Fiction, una struttura preparatissima, capace di accompagnarti nella costruzione delle storie con rigore, sensibilità e visione. Ho capito quanto sia vero che una serie nasce molte volte, prima nella testa e poi sulla carta. La sfida più complessa è stata sicuramente logistica. Abbiamo girato in una palazzina reale, non in un set ricostruito e questo ha significato coordinare orari, rumori, spazi e le esigenze dei residenti che continuavano a vivere la loro quotidianità mentre noi lavoravamo. Paradossalmente, ciò che inizialmente sembrava un limite si è rivelato un punto di forza. Alcuni abitanti del palazzo si sono appassionati al progetto al punto da partecipare come comparse, contribuendo a creare un’atmosfera viva, vera, spontanea.

Nulla era artificiale e tutto era vissuto. Lavorare in un luogo reale, con persone reali, ha dato alla serie una verità che nessuna scenografia avrebbe potuto restituire. È stata una sfida, ma anche una lezione: quando la realtà entra nel racconto, il racconto diventa più umano'.

'L’Abruzzo mi ha insegnato il valore dei territori, delle storie semplici ma autentiche'

La sua produzione include anche programmi più leggeri o di intrattenimento, oltre a fiction e documentari. Come decide quali progetti intraprendere? Si affida all’intuizione, ai trend sociali, o a una sensibilità personale verso certe tematiche?

'Mi affido molto all’intuizione e alla mia sensibilità personale. L’Abruzzo mi ha insegnato il valore dei territori, delle storie semplici ma autentiche, di quelle vite che spesso non arrivano sui grandi schermi ma che meritano di essere raccontate.

Per questo scelgo progetti che abbiano qualcosa da dire, che sappiano muovere emozioni e lasciare una traccia in chi li guarda. È questo, più di ogni trend, il criterio che guida ogni nuova produzione. A febbraio saremo sul set con due film a cui tengo particolarmente, sono progetti diversi tra loro, ma entrambi, a mio avviso, ricchi di valore artistico e umano. Parallelamente sto lavorando a un documentario dedicato alla storia di Saman, tratta dal libro di Jacopo della Porta ed Elisa Pederzoli. È la storia finita in modo tragico di una ragazza che ha cercato libertà, e la recente sentenza ha riportato alla luce temi delicati, dolorosi e ancora molto presenti nella nostra società. Raccontarla richiede rispetto, responsabilità e una grande attenzione alle sfumature.

Ma credo sia necessario farlo, dando voce a realtà complesse e, allo stesso tempo, continuare a raccontare i territori, le persone e le emozioni che li attraversano'.

Lei ha scritto un libro — I Sospiri della Montagna — che racconta storie legate al territorio abruzzese. Quanto è importante per lei mantenere un legame con le sue radici, e quanto questo influenza il tipo di progetti che sceglie di realizzare?

'Il legame con le mie radici è per me qualcosa di irrinunciabile. La mia famiglia mi ha insegnato presto a conoscere l’Abruzzo. Sin da piccolo trascorrevamo le domeniche visitando paesini e borghi, e lì ho imparato il valore dell’appartenenza. Sono luoghi che ti formano senza rumore, ma in modo indelebile.

L’Abruzzo rappresenta una parte viva della mia identità, e questo si riflette in tutto ciò che faccio. Le radici non sono un vincolo, ma un orizzonte. I Sospiri della Montagna è nato proprio dal bisogno di raccontare la mia terra con sincerità, rispettando la sua essenza. Quando scelgo un progetto cerco sempre autenticità, umanità e verità. Sono qualità che ho imparato proprio nei miei luoghi d’origine, e che guidano ancora oggi il mio modo di lavorare'.

'Uno dei miei desideri sarebbe realizzare un film con Massimo Boldi'

Guardando al futuro, quali tipi di contenuti pensa che manchino nel panorama audiovisivo italiano e quale sarebbe per lei la sfida che vorrebbe affrontare come produttore nei prossimi anni?

'Sono cresciuto con il cinema italiano degli anni 80 e 90, un cinema capace di essere libero, diretto, vicino alla vita quotidiana. Erano film che non avevano paura di raccontare le persone per quello che erano davvero, con difetti, fragilità e umanità. Mi piacerebbe tornare a quel tipo di autenticità, a un racconto popolare ma profondo, che faccia sentire il pubblico “dentro” la storia. Da spettatore affezionato a quel periodo, uno dei miei desideri sarebbe realizzare un film con Massimo Boldi che per me ha rappresentato un pezzo importante del nostro cinema, con una comicità immediata e genuina che ha accompagnato generazioni. Sarebbe bello riportare quello spirito in un progetto nuovo, contemporaneo ma con lo stesso calore.»

In un mercato così competitivo — tra streaming, piattaforme on-demand e nuove dinamiche di fruizione — come vede evolvere la figura del produttore? Cambierà in termini di ruolo, responsabilità e visione creativa rispetto a qualche anno fa?

'Oggi il produttore non può più limitarsi a organizzare o finanziare un progetto, ma deve essere un interprete del pubblico, un mediatore creativo, qualcuno capace di leggere i linguaggi contemporanei e di capire perché lo spettatore dovrebbe scegliere proprio quel film o quella serie. Servono visione, rapidità e la capacità di muoversi in un mercato che cambia ogni mese. C’è poi un tema che considero centrale la tutela delle opere. Con il digitale tutto può essere copiato, modificato o diffuso in pochi secondi, e questo mette a rischio il lavoro creativo. Ho anche dedicato la mia tesi di laurea in Giurisprudenza alla protezione del format televisivo, e oggi mi accorgo di quanto quel tema sia diventato urgente. Le nuove norme e le recenti sentenze, che cercano di distinguere il contributo umano dall’automatismo dell’intelligenza artificiale, vanno nella direzione giusta, ma non bastano in quanto la tecnologia corre più veloce del diritto. Per questo serve un quadro normativo capace di evolversi, di riconoscere con chiarezza cosa è davvero un’opera dell’ingegno e come proteggerla, senza frenare l’innovazione. La sfida è trovare un equilibrio nel difendere l’autore e il suo apporto creativo, e allo stesso tempo garantire un uso corretto e responsabile dei contenuti nell’ecosistema digitale. In un mercato così rapido, il produttore dovrà essere sempre più il custode dell’identità artistica dell’opera'

Alcuni osservatori hanno notato la sua vicinanza alla Lega di Matteo Salvini. A livello personale, riuscite mai a fare una chiacchierata senza finire a parlare di politica?

'La mia vicinanza alla Lega e a Matteo Salvini è qualcosa di molto semplice, nascendo da un’amicizia che dura da tanti anni, costruita con sincerità e rispetto reciproco. Non l’ho mai nascosta, anzi l’ho sempre raccontata con naturalezza e trasparenza. Di Matteo apprezzo molti aspetti, prima ancora del suo ruolo pubblico. Mi colpisce il suo lato familiare, è un padre presente e affettuoso, attento ai figli nonostante gli impegni enormi della vita politica. È un tratto che dice molto della sua umanità. Per chi non lo conosce personalmente, posso dire che Matteo è una persona semplice, umana, intelligente e sorprendentemente diretta. Ha una capacità rara di ascoltare e di esserci, qualità che nel tempo rafforzano la stima di chi gli sta accanto. Conosco anche il suo impegno istituzionale e le battaglie della Lega che sento vicine. La politica è una parte del suo mondo, certo, ma non è il centro del nostro rapporto'.