Il Consiglio dei Ministri ha dato il via alla missione italiana in Niger, già annunciata nei giorni scorso dal ministro della difesa Roberta Pinotti. Il contingente militare sarà formato da reparti provenienti dall’Iraq – dove, a seguito della sconfitta dell’ISIS, è possibile un alleggerimento – e, in misura minore, dall’Afghanistan. Si tratterebbe in totale di circa 470 unità del genio militare e dei paracadutisti della Folgore, con 150 veicoli, di stanza presso la base dismessa della legione straniera francese di Madama, da riadattarsi per l’uso.

Ufficialmente lo scopo della missione è duplice: contrastare e tenere sotto controllo le piste dei flussi illegali dei trafficanti di uomini verso la Libia e la lotta ai terroristi di Al Qaeda, stanziati nel deserto. Il presidente del Consiglio gentiloni, ha assicurato che, almeno inizialmente, la missione sarà “no combat” e che i reparti saranno utilizzati per l’addestramento delle forze nigerine. Gli osservatori, tuttavia, non escludono che, dati gli scopi, gli stessi, una volta operativi, saranno autorizzati al combattimento.

Dopo gli accordi con il governo libico ora gli italiani alle frontiere Libia-Niger

Quanto meno, la missione si inquadra nell’ambito della collaborazione avviata con il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale – quello di Tripoli, con a capo Fayez al-Sarraj – per il contenimento del traffico dei migranti clandestini e il loro salvataggio in mare.

E’ evidente che la tendenziale “chiusura” della rotta degli scafisti verso l’Italia ha per conseguenza il sovraffollamento a dismisura dei campi di accoglienza libici e la loro difficoltà di gestione. La missione italiana, quindi, sembra finalizzata a contenere i traffici già oltre la frontiera libica che, per un lungo tratto, confina con il Niger.

L’iniziativa militare italiana, inoltre, non è isolata, ma fa parte di una più vasta operazione militare euro-africana nel Sahel, frutto delle intese del 13 dicembre scorso a Celle Saint Claud tra la UE e cinque Stati Saheliani: Mali, Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad, il cosiddetto G5 del Sahel. Oltre alla Francia, che già combatte da quattro anni il terrorismo islamico nell’Africa settentrionale, è prevista la presenza di contingenti tedeschi, spagnoli, belgi e, appunto, italiani.

L’operazione sarà finanziata anche da Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, mentre è risaputo l’appoggio del Qatar agli jihadisti.

La Francia rimane la nazione-guida per qualsiasi operazione nel Sahel

E’ ovvio che la presenza francese, nell’area, ha una radicamento ben più profondo di quello degli altri partners europei, non soltanto perché tutta l’Africa submaghrebina faceva parte del suo impero coloniale, sino al 1960, e tuttora la lingua francese è una delle lingue ufficiali ivi parlate. La Francia, infatti, garantisce la parità con l’euro del "franco della Comunità Francese”, la moneta adottata dalle sue ex colonie africane. In sostanza è alla Francia che tali Stati debbono la loro stabilità monetaria.

Svariate sono le basi militari che la Francia mantiene in Africa settentrionale, come quella di Savarè, in Mali e, tra il 1978 e il 1987, ha condotto una guerra contro la Libia di Gheddafi per difendere le frontiere del Ciad. Non sfugge, tuttavia, la circostanza che la collaborazione militare nel Sahel giunga a pochissime settimane dalla dichiarazione comune sulla politica europea di difesa e ne sembri la prima delle sue conseguenze. E’ sempre stato evidente che, uscita la Gran Bretagna dalla UE, la potenza in grado di sostituire gli USA nel coordinamento delle politiche militari europee non può che essere la Francia, unica in possesso del deterrente nucleare.

Frizioni con Macron ormai ampiamente superate

Esclusa a priori, quindi, l’eventualità che la presenza italiana nel Sahel non possa essere subalterna a quella francese, va detto che l’operazione è sicuramente utile a scoraggiare i flussi di migranti prima che entrino in Libia e ciò rafforza la collaborazione in tal senso che il nostro paese sta intrattenendo con il governo di Tripoli e l’altro uomo forte della Cirenaica, cioè il generale Haftar.

Il fatto che il presidente francese Emmanuel Macron abbia accettato (e, probabilmente, anche incoraggiato) i nostri militari proprio al confine tra Niger e Libia, è un indizio che le frizioni tra Italia e Francia sulla strategia da adottarsi con i successori di Gheddafi siano ormai sorpassate se non addirittura risolte.