Laplasticapotrebbe essere degradata biologicamente da un enzima. Lo studio è stato pubblicatasulla rivista "Science"e si tratterebbe di una importantericerca svolta da un gruppo di ricercatori giapponesi del Kyoto Institute of Technology. Secondo lo studio sarebbe stato individuato unbatterioche attraverso l’utilizzo di due enzimi, riuscirebbe a scomporre, in due molecole non dannose per l’Ambiente, il polietilentereftalato (PET), il polimero più utilizzato per la produzione delle materie plastica.
Il PET: uno dei polimeri più utilizzati per produrre la plastica
Il Polyethylene terephthalate è un polimero impiegato per la produzione dimateriale plasticoe in particolar modo bottiglie, il cui accumulo ed il conseguente smaltimento è diventato un enorme problema di portata mondiale. Ogni anno si sintetizzatano circa 56 milioni di tonnellate di questo materiale con conseguenze, dal punto di vista ecologico, disastrose. L’impossibilità della biodegradabilità del PET contribuisce inevitabilmente al suo accumulo illimitato nel nostro ambiente, realtà che ormai rappresenta un pericolo per tutti gli ecosistemi dell’intero pianeta.La scoperta, da parte dei ricercatori giapponesi di questo batterio, potrebbe rappresentare una importantissima svolta, per lo smaltimento di sostanze attualmente presenti nel suolo e nelle acque di scarico.
Il nome del batterio scoperto è Ideonella sakaiensis,e secondo lo studio sarebbe in grado di distruggere la plastica attraverso alcuni enzimi, riuscendo a trasformare la Pet in due sostanze eco-compatibili: il glicole etilenico e l'acido tereftalico, capaci di degradare ad una temperatura di 30° un sottile strato di plastica inpochesettimane.
In Italiapiù di 200 bottiglie pro capiteogni anno
Secondo recenti studi, ogni anno si consumano pro capite in Italia più di 200 bottiglie in plastica di acqua e bibite. Questi dati fanno emergere, relativi consumi di produzione,di circa 20 litri di petrolio e 180 di acqua e conseguenteemissione di più di 20 kg di CO2. Le bottiglie di plastica, inoltre, per decomporsi del tutto, impiegano circa 700 anni se lasciate a terra e 450 se lasciate nel mare.
La scoperta fatta dagli scienziati giapponesi, se confermata da studi ulteriori, risulterebbe estremamente importante, poiché potrebbe consentire lo smaltimento definitivo di uno degli elementi più inquinanti presenti sul nostro pianeta.