Massimo Giuseppe Bossetti avrebbe tentato il suicidio, sabato, nel carcere bergamasco sito in via Gleno. Ha dichiararlo è stato l'avvocato Camporini. Il gesto sarebbe stato compiuto in un momento di debolezza del muratore di Mapello, così almeno sostiene il suo avvocato difensore Claudio Salvagni: "Quando l'ho saputo sono corso in carcere - racconta Salvagni - Massimo mi ha raccontato di aver avuto un momento di debolezza. Per un attimo gli si è spenta la luce. Per fortuna ora sono migliorate le sue condizioni ed è più tranquillo, abbiamo parlato a lungo degli ultimi giorni, dell'udienza che si svolgerà venerdì e di quello che ci aspetta. In ogni caso ci accerteremo meglio su quello che è accaduto". Conclude l'avvocato difensore.

Venerdì scorso, durante la seconda udienza del processo, la Corte aveva respinto la richiesta dell'accusa di ricostruire i rapporti extraconiugali della moglie del Bossetti, ritenuti ininfluenti ai fini processuali. Gli atti di infedeltà della donna sarebbero avvenuti dopo la morte di Yara Gambirasio, quindi del tutto ininfluenti sulle vicende processuali. Sempre l'avvocato difensore di Bossetti - Salvagni - aveva accolto con soddisfazione la notizia, sostenendo che il gossip sarebbe rimasto fuori dal processo. Comunque la Corte aveva paventato la possibilità di ascoltare in aula i presunti amanti della moglie di Bossetti. Dopodiché il muratore di Mapello avrebbe avuto dei colloqui con la donna dicendole di voler tentare il suicidio. Dopo poche ore da questo colloquio l'uomo avrebbe effettivamente tentato il suicidio.

Il gesto non gli avrebbe procurato alcun danno fisico. La direzione del carcere si è guardata dal commentare l'accaduto. Antonio Porcino, il direttore del carcere, si è trincerato dietro un secco "No comment". Finora Bossetti non aveva dato segni di squilibrio o di forte stress psicologico, ma le presunte infedeltà della moglie, probabilmente hanno minato la sua condizione psicologica nel profondo. Dopo il suicidio di Ludovico Caiazza (imputato per l'omicidio del gioielliere Giancarlo Nocchia), e del detenuto rumeno diciottenne accusato di aver ucciso il truccatore Mario Pegoretti, questo è il terzo caso emblematico con cui le carceri italiane si trovano a dover fare i conti.