Le liti di condominiopresentano indubbi ed eteronomi motivi posti alla base del singolo accaduto. I rapporti di vicinato sono spesso rapporti di quasi non vicinato ovvero caratterizzati da lontananze comportamentali volutamente poste in essere dai protagonisti della lite. L'espressione "rapporti di buon vicinato" è quasi una chimera. I rapporti ci sono, ma sono di discordanza. La maggior parte si verificano per futili motivi. In questi banali episodi, qualcuno può andare oltre con le parole. Esempio significativo è l'espressione rivolta al vicino di casa, "devi morire".
Episodio che ha visto l'instaurazione di un giudizio conclusosi con la sentenza n.15646/16 della quinta sezione penale della Cassazione che afferma che la suddetta espressione non integra gli estremi del reato di minaccia.
Il caso oggetto di disamina
Affinché possa esserci condanna deve sussistere il carattere personale della responsabilità penale. Nella presente fattispecie, i giudici di merito, hanno dichiarato colpevole il vicino del reato di minaccia; la condanna prevista era una multa di euro 51, alla quale è stato aggiunto il risarcimento del danno morale. I giudici di legittimità capovolgono la ratio della prima decisione, dettando dei criteri guida da seguire in ipotesi di simile portata.
Vanno in primo luogo presi in considerazione i caratteri e le qualità personali dei due o più litiganti e in più il fatto va contestualizzato. Acclarata la natura dei rapporti tra i due protagonisti della vicenda, affermata la costante e duratura presenza di dissapori, si è escluso il reale intento minaccioso, optandosi per un eccesso di sfogo verbale.
La Cassazione, in secondo luogo, ha affermato che affinché si verifichi il reato di minaccia, l'agente deve prospettare un male ingiusto e notevole. Più in particolare, l'evento morte augurato, deve potersi concretamente verificare e soprattutto dipendere dalla volontà dell'agente, anche se non materialmente compiuto da lui. Per la risoluzione di queste controversie sarebbe utile il ricorso ad ulteriori forme di giustizia.