A Sambuca di Sicilia, splendido spaccato della terra di Trinacria eletto recentemente a "Borgo più bello d'Italia", si è chiuso un cerchio. L'operazione antimafia messa a segno ieri dai carabinieri ha portato all'arresto di sette persone e fa il palo conil blitz effettuato dai militari dell'Arma nel trapanese due giorni prima. Entrambe hanno una matrice comune, scaturiscono dalle indagini indirizzate alla ricerca di Matteo Messina Denaro. Il destino, chiamiamolo in questo modo anche se in realtà è il naturale corso delle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, vuole che si torni a parlare di Sambuca di Sicilia dove nel 2012 venne probabilmente gettata al vento una clamorosa opportunità di arrivare all'ultimo padrino di Cosa Nostra.
Meriti della magistratura ma anche clamorosi errori
Giusto, anzi sacrosanto riconoscere i meriti di magistrati e forze dell'ordine quando viene messa a segno un'operazione, altrettanto legittimo storcere il naso dinanzi ad evidenti fallimenti. Il pool di magistrati della Direzione distrettuale antimafia, coordinati dal procuratore aggiunto Teresa Principato, aveva intuito che in quella parte di Sicilia raccontata da Tomasi di Lampedusa c'era un sentiero che poteva condurre dritto a Matteo Messina Denaro. Il boss di Sambuca, Leo Sutera, organizzava i summit con le famiglie mafiose delle altre provincie, così come comprovato dall'operazione di ieri, e riceveva i "pizzini" del superlatitante di Castelvetrano.
Il suo arresto nel 2012, effettuato dalla polizia di Stato e deciso dai vertici della Procura, scombinò i piani dei colleghi che coordinavano le indagini svolte dai carabinieri e se c'era una minima possibilità di arrivare a Messina Denaro, la pista franò per forza di cose. Gli arresti di ieri, i particolari dell'operazione, stanno a testimoniare che probabilmente la dottoressa Principato ed i suoi collaboratori avevano ragione.
Pensiamo che, al di là dei successi contro la criminalità organizzata che vanno sicuramente lodati, sia opportuno riconoscere il dolo quando questo è causato da clamorosi errori di valutazione. Un esempio recente in tal senso è quello che ha riguardato, suo malgrado, l'imprenditore trapanese Andrea Bulgarella che da anni ha spostato i penati e gi interessi economici in quel di Pisa e nell'autunno dell'anno scorso si è visto indagato per presunte collusioni con la mafia.
Le accuse sono state dichiarate "infondate" dalla Cassazione, il danno di immagine nel suoi confronti rimane tale. La recentissima notizia che la sua impresa porterà a compimento il Parco delle Torri di Pisanova è la miglior risposta ad un grave errore della magistratura.
Istituzioni 'malate' e 'professionisti dell'antimafia'
Quante volte abbiamo sentito la frase "terra bruciata attorno al boss" in occasione delle operazioni antimafia? Quanta terra bisogna ancora bruciare per giungere fino a Matteo Messina Denaro? Il boss sembra tutt'oggi possedere una rete infinita di fiancheggiatori ed un potere economico che, pur demolito in parti, resta solido perchè poggia su radici profonde alle quali le Istituzioni di competenza non riescono ancora ad arrivare.
Da alcune Istituzioni giungono inoltre messaggi devastanti, come quello del consigliere comunale di Castelvetrano, Lillo Giambalvo, riammesso al massimo consesso civico nonostante le intercettazioni in cui vanta la sua vicinanza con la famiglia Messina Denaro o il caso "Despar", la catena di supermercati che fallisce quando passa dai prestanome del boss alla tutela giudiziaria. Intorno a questo scenario, il chiasso fastidioso dei "professionisti dell'antimafia": sono alcuni politici, associazioni o colleghi della stampa. Tutti con l'etichetta di "antimafia" senza la quale, probabilmente, non se li filerebbe nessuno. Sarebbero realmente soddisfatti se Matteo Messina Denaro finissse in manette? Chissà... c'è da chiedersi come occuperebbero il loro tempo senza il nemico pubblico in libertà.