Omar Hassan Hashi è stato l'unico condannato per il duplice omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio il 20 marzo del 1994. Una condanna a 26 anni per duplice omicidio volontario nel secondo processo d'appello, che aveva rivisto la condanna all'ergastolo del primo escludendol'aggravante della premeditazione.

La condanna

A determinare la condanna del cittadino somalo erano state due testimonianze molto pesanti: quella di Sid Ali Mohamed Abdi, l'autista del pick-up sul quale avvenne l'esecuzione dei due giornalisti, e quella di Ahmed Ali Rage, più noto come Gelle.

Le accuse di Gelle furono ritirate dopo che egli stesso dichiarò di aver reso false deposizioni dietro ricompensa. Anche la testimonianza di Abdi, l'autista, raccolta il 17 luglio del 1997 dal Pm Franco Ionta, presentava elementi poco credibili. Hashi fu condannato in appello e in cassazione a 26 anni di carcere.

La richiesta di assoluzione

Già da un anno Hashi era a piede libero, dopo aver passato 16 anni in carcere da innocente, ma solamente oggi c'è stata una richiesta ufficiale di assoluzione. A richiederla è stato il procuratore generale Razzi, davanti alla Corte d'appello di Perugia. Al termine della sua requisitoria ha dichiarato che "bisogna avere il coraggio di ammettere l'innocenza di Hashi".

Alla richiesta di assoluzione si è associato anche il legale della famiglia Alpi. La madre di Ilaria Alpi, Luciana, non aveva mai creduto alla colpevolezza del somalo. Lo scorso 15 giugno, davanti al palazzo del Tribunale di Perugia si era tenuto un presidio organizzato da diverse associazioni (fra le quali Tavola della pace, Articolo 21, UsigRai e Ordine dei giornalisti) in cui si richiedeva la revisione del processo e il proscioglimento di Omar Hassan Hashi.

Il caso Alpi

Dopo 22 anni il caso Alpi è tutt'altro che risolto. Hanno indagato la magistratura e una commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta da Carlo Taormina, senza che, ancora oggi, si conoscano i responsabili materiali e i mandanti. Senza che si sappia il movente del duplice omicidio. Ci sono solo due punti chiari.

Innanzitutto che il duplice omicidio fu un'esecuzione mirata, e non un rapimento finito male o un omicidio casuale (come pure qualcuno aveva dichiarato). Ed è chiaro che il duplice omicidio è legato al lavoro che la Alpi stava svolgendo in Somalia. La giornalista si era recata ufficialmente in Africa per seguire il ritiro delle truppe italiane, ma aveva colto l'occasione per approfondire alcuni lavori che seguiva da tempo e che riguardavano i fondi della cooperazione allo sviluppo donati dal nostro Paese alla Somalia e l'enorme quantità di armi che circolavano nel Paese del Corno d'Africa.

Durante il proprio soggiorno somalo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si erano recati anche a Bosaso, nell'estremità settentrionale, per intervistare il cosiddetto Sultano di Bosaso (Abdullahi Mussa Bogor) per parlare della situazione del Paese e del traffico di armi.

Al suo ritorno a Mogadiscio il pick-up su cui i due italiani viaggiavano fu bloccato da un fuoristrada con 7 uomini a bordo. I due giornalisti furono barbaramente uccisi a colpi di Kalashnikov.

Quanto ancora dovremo aspettare per conoscere la verità sul caso Alpi? Quanto ancora ci vorrà per superare il muro di omertà e la rete di misteri costruiti in 22 anni di depistaggi e di verità di comodo?