È tornato in aula questo pomeriggio Andres Behring Breivik, il terrorista autore delle stragi del 2011 in Norvegia e responsabile di 77 morti e centinaia di feriti, quasi tutti giovanissimi. Non appena entrato in aula, una palestra del carcere di massima sicurezza di Skien adattata per l'occasione, l'attentatore di Utoya si è presentato davanti alla corte esternando il saluto nazista, così come aveva fatto in altre occasioni. L'ultima, in ordine cronologico, risale al 15 marzo 2016, il giorno in cui Breivik si era presentato di fronte ai giudici per ricorrere contro lo Stato norvegese, accusandolo di tortura e trattamento disumano.

L'attentato del 2011

Il 22 luglio, Breivik innescò dapprima l'esplosione di un'autobomba nel centro di Oslo, causando 8 morti e centinaia di feriti, poi si spostò sull'isola di Utoya, dove era in corso un raduno dei giovani del Partito Laburista Norvegese. Travestito da poliziotto, Breivik raggiunse il campus con un normale traghetto, armato di pistola e fucile automatico, con la scusa di cercare eventuali bombe correlate all'attentato che aveva appena devastato il centro della capitale. Appena sceso, l'attentatore uccise i direttori del campus per poi braccare i giovani presenti sull'isola, come in una battuta di caccia.

La condanna

Condannato nel 2012 a scontare 21 anni di detenzione (pena massima nell'ordinamento norvegese, dopo l'abolizione dell'ergastolo) Breivik si trovava in aula per l'udienza d'appello contro lo Stato, reo - secondo gli avvocati - di non aver rispettato la Convenzione europea sui diritti dell'uomo durante il periodo di detenzione.

Una prima sentenza, emessa ad Aprile 2016, gli aveva dato ragione, decretando la colpevolezza delle istituzioni per i 5 anni di isolamento a cui era stato sottoposto anche a causa del rigido sistema di controllo delle sue comunicazioni. Una sentenza, quella dell'Aprile 2016, che era valsa a Breivik alcune concessioni, come maggiore tempo per dialogare con le guardie e la possibilità di incontrare più frequentemente il proprio avvocato, in colloqui da svolgersi non più dietro un vetro di sicurezza ma attraverso le sbarre.