Palermo. Sono sei le ordinanze di custodia cautelare emesse, negli scorsi giorni, dal Giudice per le Indagini Preliminari Fernando Sestino, per l’omicio dell’avvocato Enzo Fragalà, su richiesta dei pubblici ministeri Caterina Malagoli, Nino Di Matteo e Francesca Mazzocco, supportati dal Procuratore della Repubblica Francesco LoVoi.

L’aggressione

Era il febbraio 2013 quando una notte, in via Nicolò Turrisi, a due passi dal palazzo di giustizia di Palermo, il penalista Fragalà fu avvicinato da quattro uomini che iniziarono a pestarlo con bastone di legno.

La vittima non morirà sul corpo, ma tre giorni dopo, a causa delle lesioni causate dal pestaggio. I mandanti dell’omicidio sono i “picciotti” del Borgo Vecchio. Francesco Arcuri pianifico l’aggressione, Paolo Cocco portò la mazza di legno e Francesco Castronovo iniziò il pestaggio dell’avvocato, che tre giorni dopo lo condurrà alla morte. Antonio Abbate e i fratelli Salvatore e Antonino Ingrassia svolsero invece funzioni di copertura dell’azione punitiva.

Inizialmente la mafia palermitana cercò di infangare il nome di Fragalà, sostenendo che il movente dell’omicidio fosse riscontrabile nel fatto che l’avvocato avesse corteggiato la moglie di un boss detenuto. Si scoprirà dopo, a seguito della recente ruiapertura del caso, che in realtà la mafia palermitana voleva mandare un chiaro messaggio a tutta l’avvocatura del capoluogo siciliano.

Nel 2013 i Carabinieri avevano già individuato tre “picciotti” del clan, presunti responsabili dell’azione punitiva contro l’avvocato Fragalà, ma l’arresto dei tre, si era infranta contro una discussa richiesta di archiviazione.

La riapertura del caso

A fare riaprire le indagini sono state le dichiarazioni del pentito, ex “riscossore del pizzo”, Francesco Chiarello, nonchè le intercettazioni effettuate dagli investigatori.

Chiarello ha dichiarato che il mandante del pestaggio fu l’allora capo mandamento di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni. Il pentito ha anche raccontato di una riunione a casa sua, durante la quale Francesco Arcuri richiedeva l’intervento di quattro “picciotti” per dare “quattro colpi di legno ad una persona”.

Attualmente tutti i partecipanti all’aggressione sono detenuti, eccezion fatta per Di Giovanni, per mancanza di riscontri ai racconti del pentito Chiarello.

Enzo Fragalà era stato il difensore di diversi boss della mafia siciliana, tra i cui nomi spicca anche quello di Leoluca Bagarella. Ad un certo punto però invertì la rotta, rifiutando un mandato di Totò Riina e cominciando a suggerire ai suoi clienti di collaborare con la magistratura, violando così “la regola del silenzio” dettata dal codice mafioso. Questo probabilmente ha infastidito gli uomini d’onore palermitani, che ne hanno ordinato l’eliminazione.

Il comandante provinciale dei Carabinieri Antonio Di Stasio, che ha coordinato l’arresto dei responsabili, e il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Francesco Greco, sono pronti per costituirsi parte civile.