L’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non essere intervenuta rapidamente per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza del marito. Il caso di violenza domestica al quale la Corte di Strasburgo si riferisce è quello avvenuto il 26 novembre 2013 a Remanzacco, in provincia di Udine: il marito di Elisaveta Talpis uccise il figlio di diciannove anni, intervenuto per difendere la madre, e poi tentò di uccidere anche la moglie. Ciò che fece esplodere l’aggressività del marito fu la denuncia di Elisaveta nei suoi confronti e le continue richieste da parte dei vicini dell’intervento delle autorità.

L’uomo ora si trova in carcere e sta scontando una condanna all’ergastolo. Si tratta della prima condanna per l’Italia da parte della Corte per un reato relativo al fenomeno della violenza domestica.

Sentenza di condanna

Elisaveta si rivolse alla Corte di Strasburgo nel maggio 2014 denunciando le autorità italiane per non averla protetta nonostante le sue ripetute richieste di aiuto. La sentenza della Corte EDU sarà definitiva tra tre mesi se le parti non faranno ricorso. Nello specifico l’Italia è stata condannata per la violazione dei seguenti articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: l’articolo 2 relativo al diritto alla vita, l’articolo 3 riguardante il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’articolo 14 che si riferisce al divieto di discriminazione.

La condanna si sostanzia a favore della ricorrente in 30 mila euro per danni morali e 10 mila euro per le spese legali.

L’Italia che non interviene

Le ripetute richieste di aiuto da parte di Elisaveta sono iniziate a giugno 2012, circa un anno e mezzo prima del tragico omicidio. Purtroppo nessuna di queste è stata presa davvero in considerazione.

Ripercorriamole insieme.

A giugno 2012 in seguito alla denuncia la polizia si limitò a constatare lo stato di ebbrezza del marito e i segni di violenza sul corpo della donna. Successivamente Elisaveta si rivolse nuovamente alla polizia per un’aggressione con un coltello e l’autorità mise a verbale solo il porto d’armi abusivo.

A settembre dello stesso anno ancora una denuncia per maltrattamenti è stata sottovalutata. Ad agosto 2013 continuano le percosse. A novembre del 2013 la donna moldava chiama di nuovo i carabinieri; il marito viene portato in ospedale, ubriaco, ma esce la notte stessa. E proprio quella notte è avvenuta la tragedia. La polizia arresta il marito che ha trovato fuori dall’abitazione, mentre la donna viene ricoverata all’ospedale di Udine.

Titti Carrano, uno dei due legali autori del ricorso alla Corte ha dichiarato che "nella storia di questa donna ci sono tutti gli elementi di violenza ripetuta, grave e soprattutto sottovalutata e non riconosciuta"