Da Pyongyang l'ennesima minaccia, mentre il mondo intero si domanda quando la misura sarà colma. Le ultime parole di questo pomeriggio, a Washington, preludono lo scenario che tutti temevano dopo il posizionamento dello scudo antimissile costruito in Sud Corea. "Gli alleati della Corea del Sud non dovranno temere, lo scudo sarà pagato interamente dagli Usa" ha ribadito il Presidente della sicurezza nazionale Herbert Mc Master.
Pyongyang, 5.30 del mattino
A Pyongyang erano le 5.30 di mattina, all'incirca mezzanotte in Italia, le 4.30 a Pechino quando il missile lanciato dalla base di Pyeongannam-do, e spedito in direzione nord est, verso il Mare del Giappone, ha raggiunto l'altezza approssimativa di 71 chilometri ed è esploso dopo pochi minuti.
Le analisi del Pentagono hanno conseguentemente inquadrato l'ordigno con il termine tecnico di "vettore a corto raggio"; per il resto del mondo poco avvezzo a termini militari di nicchia, trattasi semplicemente dell'ennesimo missile sparto nel cielo in direzione del Giappone dal dittatore nordcoreano Kim Jong-un, l'uomo che ormai tiene il mondo con il fiato sospeso. Il lancio fallisce, probabilmente per imperizia, mentre qualcuno tira in ballo la cybermania degli Usa nel localizzare l'ordigno prima che faccia danni consistenti; poco importa, però, se si pensa che è il terzo lancio missilistico di aprile.
Le prove del giovane 33enne dittatore coreano Kim Jong-un in vista del famoso "missile intercontinentale che sogna di lanciare contro gli Usa", porteranno molto presto al risultato sperato; e se il paterno Trump aveva espresso nei riguardi del "dittatore bambino" parole di comprensione, dopo l'ennesimo affronto, è con l'invio della squadriglia navale guidata dalla portaerei Carl Vinson, che il tycoon intende sculacciare il ragazzo inesperto che, parole sue "ha dovuto sobbarcarsi l'onere di guidare una nazione a soli ventisette anni".
"Scenari di guerra" a Pyongyang
Va in onda la guerra, nella capitale della Corea del Nord. La trama è definita dall'alternarsi di dichiarazioni guerrafondaie del leader Kim Jong-un verso gli invasori, e dalle risposte sempre a tono del presidente Usa. Banale ping pong tra due adolescenti, a volte; sciocche dichiarazioni ad effetto, in altre occasioni, che hanno il colore di intimidazioni sempre pronte a mettere a dura prova il raziocigno di chi vive tutto al di fuori da strategie economiche e geopolitiche precise.
Per il giovane dittatore coreano sproloquiare riguardo ipotetici attacchi agli Usa, è divenuta ormai consuetudine: probabilmente, come dare il via alle pompose esercitazioni militari finalizzate ad offuscare la ragione del popolo coreano, già tagliato fuori dal mondo da una scellerata dittatura in stile "stalinista" che sopprime i maggiori diritti dell'essere umano.
Idolatria e povertà in Corea del Nord
Dichiarazioni di guerra "per nulla tra le righe" anche in queste ultime ore che seguono il nuovo lancio missilistico, dunque, delineano come al solito lo scenario malinconico di un Paese, la Corea del Nord, ormai sfiancato, con un governo che si dichiara "socialista", ma che incarna solo il lato peggiore della dottrina marxista, quella della costrizione, della manipolazione e della soppressione delle libertà principali dell'individuo.
Incentivare la massa all'idolatria totale, eliminando alla radice ogni seria possibilità di riunire le due Coree mettendo termine alla dinastia dei dittatori: è questo, per molti,il perno fondamentale su cui verte ogni azione, ogni parola ed ogni scelta diplomatica del giovane Kim.
La sfida con l'America è solo un pretesto per rafforzare la sua immagine, e tenere così in mano il suo popolo: poco importa, se per farlo è necessario ricorrere a stravananze come "l'obbligo di un taglio di capelli che ricalchi il suo"; o, ancor più paradossale, vietare nel Paese il consumo dei "Choco Pies"(merendine al cioccolato prodotte in Corea del Sud) per il timore che il suo popolo simpatizzi per gli scomodi vicini di casa. Assurdo.
Trump: 'di questo passo inevitabile grande conflitto'
Tuttavia il regime norcoreano sembra tenere testa a Washington, e per la prima volta, causa "misure preventive di sicurezza", dopo il lancio del missile balistico di Pyangyong, chiude perfino la metropolitana di Tokyo per 12 minuti.
Così, proprio nel giorno della celebrazione dei suoi 100 giorni di amministrazione, The Donald non fa mistero sulla ormai tangibile eventualità che "si arrivi di questo passo ad un grande conflitto con la Corea del Nord". Tra l'altro, si vocifera tra gli esperti del settore, che il missile lanciato verso il Mar del Giappone, avrebbe in realtà voluto simulare l'attacco ad un mezzo navale: ennesimo avvertimento in merito allo spostamento della "armada" di Trump, la Carl Vinson, diretta in queste ore nel mare di corea?
Ma la situazione è tesissima, e apre nuovi inquietanti interrogativi. Uno tra tutti: dopo quanto avventuo, Kim Jong-un darà l'ordine di effettuare un nuovo test nucleare? Nonostante le rappreasaglie verbali sempre al limite, il tycoon conferma di "essere disposto ancora alla soluzione diplomatica", e per questo ripone grande fiducia nell'azione della Cina, poiché da Pechino dipende ancora il 70% del commercio di Pyongyang.
"La Corea del Nord ha mancato di rispetto alla volontà della Cina", ha dichiarato Trump, mettendo il dito nella piaga di un rapporto che probabilmente neanche la Cina di Xi riesce più a gestire nei riguardi del suo alleato. Infatti, nonostante i due presidenti siano in costante contatto telefonico giornaliero (Xi non aveva mai avuto un tale rappoto nemmeno con Obama) l' alleanza tra i due per il momento non sembra affatto intimidire il leader coreano.
Corea del Nord: fuoco e fiamme agli Usa
I toni sono come al solito quelli di una nazione che ha fatto della provocazione la sua arma diplomatica preferita. Così, fedele allo stile del suo leader, Pyangyong dichiara in questi giorni sull'editoriale del regime, il Rodong Sinmun, che "promette fuoco e fiamme agli Usa".
L'escalation di minaccie contro gli invasori prosegue in pieno stile Kim Jong-un, con frasi del tipo " Pyongyang possiede finalmente la volontà e la capacità di rispondere ad ogni tipo di guerra"; precisando che se "sia Usa che Corea del Sud continueranno con la preparazione di un attacco preventivo, lanceranno un attacco senza preavviso trasformandole in inferni ardenti". Anche il paese del Sol Levante, così, si è sentito in obbligo di rispondere a tono: dopo le iniziali preoccupazioni di nuovi missili in direzione del Mar del Giappone, il capo del Gabinetto Yoshihide Suga, ha dichiarato in conferenza stampa che il Giappone "è pronto a rispondere a nuove provocazioni da parte della Corea del Nord".
Conflitto nucleare? "Se faranno altri test non sarò contento"
A quanto pare l'ipotesi Terza Guerra Mondiale viene per il momento evitata dallo stesso Trump, che alla Cbs, sull'eventualità di un imminente conflitto bellico con la Corea del Nord, ha glissato in modo pacato, dichiarando: "se faranno altri test nucleari non sarò di certo contento" ; ha specificato, poi, che "neanche il presidente cinese, sarà felice". Con Xi Jinping, infatti, Trump intende mantenere rapporti particolarmente buoni in vista di un alleanza che più volte ha ribadito indispensabile. Nel colloquio dei giorni scorsi con Xi, i due leader hanno convenuto di "rafforzare il coordinamento per consguire la denuclearizzazione della Corea del Nord".
Cento giorni di Trump, tra Corea del Nord e "fake news"
D'altronde, ha ammeso personalmente il tycoon, (come tutti ormai sanno), che "fare il presidente è più complicato di quanto pensasse". Pertanto, tra l'incertezza e la confusione delle ultime ore, lo scenario della Corea del Nord è probailmente l'anello di congiunzione con una politica economica giudicata da molti fin troppo sprovveduta. Ma se in Pennsylvania, lo slogan era "i cittadini americani al primo posto", lo scetticismo nei confronti di un ipotetico raid Usa in nordcorea, allerta i media, attaccati proprio da Trump in questo giorni. Sulla questione Corea del Nord si pronuncia tuttavia rilanciando sull'alleanza con la Cina "ci sta aiutando, e Xi è un grand' uomo". Ma "fake news" o no, l'opinione che rimbalza tra i media è che il confronto bellico sia divenuto quasi inevitabile.