Tutto pronto in Corte d'Assise d'appello a Brescia, dove il 30 giugno si apre il processo d'appello a Massimo Bossetti, unico imputato dell'omicidio di Yara Gambirasio con alle spalle una condanna in primo grado all'ergastolo. Si prospetta una vigilia rovente, costellata di dichiarazioni che fanno presupporre un altro aspro confronto accusa-difesa. Di queste ore, infatti, alcune "rivelazioni" che accendono le curiosità intorno a un secondo grado di giudizio che la difesa annuncia ricco di nuovi elementi utili a scagionare il muratore di Mapello, tra cui uno, in particolare, sembra aver guadagnato gran parte degli ultimi sforzi difensivi.

Gli elementi della difesa in appello

Al processo d'appello, al via il 30 giugno, la difesa porta un nuovo elemento, depositato il 15 giugno scorso in Corte d'Assise d'appello a Brescia. Di cosa si tratta? Su questo i difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, sembrano concentrare il massimo delle aspettative: una foto satellitare dimostrerebbe, in tutto il suo clamore, l'innocenza dell'uomo accusato di aver ucciso Yara, quello che per la Procura di Bergamo è il titolare del celebre profilo genetico Ignoto 1.

Cosa ritrae la foto indicata come l'asso nella manica della difesa? Nell'immagine sarebbe visibile il campo di Chignolo d'Isola, in uno scatto da satellite datato 24 gennaio 2011.

Il peso specifico dell'elemento portato davanti alla Corte, in favore del'imputato, secondo la difesa è piuttosto consistente: la fotografia non mostrerebbe evidenze della presenza del corpo della 13enne di Brembate di Sopra, poi ritrovato in quel campo il 26 febbraio successivo, a 3 mesi dalla scomparsa.

La difesa: 'Il cadavere di Yara non era là'

"Il cadavere, quel giorno di fine gennaio (il 24 del 2011, come da foto satellitare prodotta dalla difesa nei motivi aggiunti all'atto di appello, ndr), non era là", è il commento lapidario dell'avvocato Salvagni. Un elemento che annuncerebbe scintille in secondo grado, e che, come riferito dallo stesso difensore di Massimo Bossetti, dovrebbe poter condurre a una rivalutazione della sentenza: "Va riscritta - dice Salvagni - perché l'accusa e i giudici hanno sostenuto che Yara scomparve e venne uccisa il 26 novembre 2010 e il cadavere restò in quel campo per tre mesi".

La fotografia satellitare fa parte di una serie di elementi che la difesa intende portare all'attenzione della Corte d'Assise d'appello, tra cui la richiesta di una nuova perizia sul DNA, prova ritenuta "granitica" e su cui si fonda parte dell'impianto accusatorio. Bossetti conterà anche sulla consulenza di uno dei "padri" della genetica forense, Peter Gill, ingaggiato dalla difesa.

L'imputato, che ha recentemente incontrato l'avvocato Salvagni in carcere, si sarebbe detto "convinto di poter avere giustizia" nel processo d'appello. Sarà presente in aula, come nel processo di primo grado in Corte d'Assise a Bergamo, concluso nel 2016 con la condanna all'ergastolo.