“Le mani sporche come la coscienza”, così Cosima Serrano, moglie di Michele Misseri e madre di Sabrina, descrive la condizione del marito, reo confesso dell’omicidio della nipotina quindicenne, Sarah Scazzi, avvenuto il 26 agosto 2010. Quelle mani sporche, al ritorno dal lavoro nei campi, che Michele non ha voluto pulire neanche per presentarsi in caserma, nonostante le ripetute esortazioni della moglie: elemento emblematico nell’elaborazione dei ricordi di Cosima, la quale ha individuato in quell’insolito comportamento la precisa volontà di manifestare la sua colpevolezza, attraverso il rifiuto di lavare via la sporcizia.
Eppure sono loro due, madre e figlia, a dover scontare una pena asprissima per una colpa di cui si dichiarano non responsabili.
L’intervista, andata in onda domenica 18 marzo su Rai Tre nel programma di Franca Leosini, “Storie maledette”, mette in luce un aspetto inedito delle due donne, costrette a fare i conti con una realtà restrittiva, eppure vissuta con spirito propositivo, rispetto alla normalità di “fuori”, dominata dall’opprimente giudizio dell’opinione pubblica. In un’alternanza di interventi tra l’una e l’altra, la conduttrice ripercorre lo svolgimento dei fatti sin dalla rivelazione del ritrovamento del cadavere, che “piomba come un asteroide”, nel bel mezzo della trasmissione “Chi l’ha visto”.
E poi si sofferma sulla sconvolgente confessione di Michele Misseri, che lascerà a lungo incredula Sabrina. Credibile la posizione di quest’ultima, tanto da indurre la Leosini ad affermare: “O lei è una brava attrice e il teatro ha perso un grande talento, oppure che dire…”
Cosima-matrona
Sabrina e Cosima sono state condannate in via definitiva all’ergastolo, il 21 febbraio 2017, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Michele Misseri, invece, dovrà scontare una pena di otto anni di reclusione, per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. La condanna di Sabrina, però, non è “ostativa”, ma apre la possibilità ad una serie di benefici, al raggiungimento dei vent’anni di reclusione: magra consolazione per una ragazza appena trentenne che vedrà scorrere in carcere gli anni migliori della sua vita.
Nel corso dell’intervista, Cosima è stata più volte descritta come una tenace matrona, al comando della famiglia, ma lei corregge l’espressione, sostituendo il verbo “comandare” con “gestire”, restituendo un’immagine di Michele che tutto lascia intendere, tranne che sia un uomo di polso. Non parla mai di amore nei confronti del marito, Cosima. Piuttosto di “collaborazione”, andata avanti per qualche anno di matrimonio, ma interrotta nell’ultimo periodo.
Meglio in carcere che fuori
Singolare l’affermazione di entrambe le donne, nel definire il carcere una realtà quasi migliore della vita al di fuori. Sembrano infatti aver trovato una dimensione ideale dietro le sbarre, dove coltivano tranquillamente le proprie passioni: l’uncinetto e i lavori di sartoria Cosima; i corsi di ginnastica e gli studi per il diploma Sabrina.
Tutto al riparo della feroce opinione pubblica, paradossalmente più rigida e insopportabile rispetto al clima imposto dal carcere. In ultimo la lettera di zia Concetta, la mamma di Sarah, che si dice disposta ad incontrarle, a patto che vogliano convertirsi alla sua religione, quella dei Testimoni di Geova, che gioverebbe a mettere a posto la coscienza. “Ma è proprio la coscienza a tenermi in piedi”, hanno risposto entrambe. “Io peso più di 120 chili”, ha affermato Cosima, “ma dentro sono leggera come una farfalla”.