Ci sono stragi silenti, lontane dalle notizie quotidiane, che non hanno un appeal mediatico, che non hanno un appeal “buonista” o che non toccano corde facili di un senso civico “al passo con i tempi”. Ma anzi forse fastidiosamente rimandano a fantasmi lontani che pochissimi hanno ancora voglia ancora di evocare e guardare in faccia. E attorno cui farsi promotori di una singolare e scientifica iniziativa.

Le morti da "talk show"

Se troviamo spazio e tempo per le morti da “femminicidio” che hanno anche un loro “contatore” presso alcune testate giornalistiche televisive, e se ci angosciamo per le le morti bianche sul lavoro che non smettono di spargere sangue e dolore nelle famiglie, lo facciamo a ragione.

Sono il segno che in una società c’è un basso livello di reazione al rispetto di alcuni fondamentali diritti. In una caso al rispetto alla scelta individuale ed alla dignità delle donna, troppo spessa considerata accessorio indegno di una propria libertà, e per questo trascinata troppo spesso nell’inferno altrui, maschile ovviamente, della disperazione incapace di elaborare una perdita. Nell’altro caso a un diritto alla integrità fisica che fa il paio con la dignità al lavoro, che non sembra la principale preoccupazione attorno a chi si accinge specialmente a mansioni “fisiche” in cui l’agguato dell’incuria o della sottovalutazione diventano sovente assassine.

Sono anche il segno, però, di una società in cui una sovra-esposizione mediatica diventa sintomo di una contorta volontà di intervento o diventa una “auto-assoluzione” di coscienza o rito collettivo di esorcizzazione.

E quel contatore lassù in alto nello schermo rischia di diventare non un allarme, ma un incolpevole e impotente termometro di un fenomeno “climatico” che regola il nostro tempo sociale.

Ma ci sono poi morti d’antan, morti retrò. Parole cadute in disuso, allarmi sociali spentisi nel tempo, ma che covano sotto la cenere.

Che non hanno mai finito di mietere vittime e spesso giovani, da cui si sono allontanati i riflettori, attratti da nuove insidie, nuovi allarmi più affini e appetibili ad una società che ha scoperto un gusto morboso per lo spettacolo della morte violenta e spettacolarizzata, come dimostra il proliferare dei programmi e approfondimenti pomeridiani che tutto ma proprio tutto dissezionano di omicidi nati molto spesso in ambito familiare.

Il sismografo "droga"

Ma lontano dalla Tv si muore di overdose, si muore inseguendo facili fughe, stordimenti e angoli di pace pagati con la vita.

Si muore ovunque in Italia, o quasi, si muore di sostanze sintetiche tremendissime, ma anche di alcol. Si muore quasi sempre soli (84%), si muore quasi sempre al chiuso di un qualche rifugio estremo (70%) improvvisato o meno, si muore uomini in stragrande maggioranza (85%), e si muore, quasi sempre, di eroina (76%).

Chi ce lo dice ? Chi ci illumina di dati tanto precisi quanto “stupefacenti” ? Ce lo dice il progetto “Geoverdose”: un portale del lutto, un portale della statistica, un portale del dove come e quando in Italia si muore di droghe, di estasi fatale.

Un idea in fondo semplice, quanto scientifica ma potente: monitorare e “pesare” ,anche e soprattutto visivamente attraverso una mappa dello stivale, l’andamento dei decessi riconducibili alla tossicodipendenza, ma anche allo “sballo” di una sera, all’eccesso di una volta sola.

Nasce così “L’idea di costruire un sistema informatico con interfaccia web in grado di restituire una rappresentazione geografica, aggiornata in tempo reale, della mortalità acuta per droghe in Italia...” negli ideatori del portale Geoverdose., ossia il Gruppo di Interesse “Riduzione del Danno” del SITD (società italina tossicodipendenze) ideato e gestito da Salvatore Giancane ed Ernesto de Bernardis ed edito dalla società che cura lo “Italian Journal of Addiction”, rivista Madicina delle dipendenze. Nasce dalla consapevolezza che “tra gli operatori dei servizi pubblici e privati vi è anche l’impressione crescente, che finora non ha trovato conferme nei dati ufficiali, che il numero odierno di consumatori di eroina ‘sommersi’ e non in contatto con i servizi (e come tali a maggiore rischio di morte) sia molto più ampio che in passato”.

Visitare il portale e usarne gli strumenti, i filtri, ma soprattutto la barra temporale in alto, che allunga o accorcia il periodo di analisi (i dati sono disponibili dal 1 gennaio 2017), dà la stranissima sensazione di giocare con la morte: vedere aumentare o diminuire le circonferenza rosse che danno l’ampiezza dei decessi e le località, una sorta di gioco macabro, ma altamente e meritoriamente istruttivo e statisticamente efficace. Per capire come vanno i “flussi” del mercato e dell'uso della droga, dove si concentra evidentemente lo spaccio, dove attecchisce meglio la cultura dell’evasione ed in che modo. Strumenti indispensabili in ogni forma di lotta “reale” e non immaginaria o solo affidata al sequestro delle sostanze ed alla lotta alla criminalità organizzata.

Un metodo che ci auguriamo venga applicato alle morti che di questo tipo di analisi e monitoraggio molto si avvantaggerebbero: per un approccio “sul campo” e mirato, e non solo genericamente affidato a forze dell’ordine ed alla repressione.

E si scopre così che per le morti per droga si distinguono in assoluto il distretto di Napoli e Venezia che addirittura doppiano Roma, Torino, Milano, Bologna al cui pari si dimostrano la costiera adriatica nel tratto tra Pescara e San Benedetto e più dispersivamente anche quella fino a Rimini, ma anche cui sorprendentemente si avvicinano la provincia Aretina, di Perugia e quella di Cagliari, mentre non sono novità da meno i distretti di Genova e Torino. Sembrano invece immuni totalmente o quasi, al momento, la Basilicata, la provincia irpina e beneventana, la Calabria, i distretti molisani e buona parte della Sicilia.

Se andiamo alle morti specifiche per cocaina(solo il 5&), invece scompare il Sud, a favore di Milano e Firenze. Tra le morti residuali anche quelle per droghe sintetiche come il MDMA, il mix di droghe ed anche alcol.

La morte viene da lontano

Ma di certo che a farla da padrone resta lei: l’eroina. Tagliata a volte troppo, a volte male, a volte troppo poco, per potenziarne gli effetti e tenere alta la concorrenzialità a scapito delle vite.

Eccolo evocato il fantasma, che si presenta alla bocca come di sapore lontano, legato ad anni tremendissimi, ad anni di piombo, di stragismo e di terrorismo. Anni di “austerità” ed anche di colera, di contestazione giovanile e di grandi trasformazioni sociali, in cui l’eroina giocò un ruolo, specialmente nel popolo giovanile e urbano, di fascinazione e di catalizzatore di tutta una “sottocultura” mortifera di rifiuto e scherno ai valori ed ai modelli sociali imperanti.

Uno smarcamento “politico” e un feticcio edonistisco che mietevano vittime quasi fosse un vero colera d’altri tempi (quello di Napoli, al di là dell’isteria collettiva di cui fui anch’io testimone, non miete alla fine che una ventina di vittime, forse). Inarrestabile, pervasivo e progressivo, il cui tarlo entrava in case attonite e totalmente impreparate a fronteggiare un male autoindotto , trascinate in un turbine di effetti collaterali psicologici e relazionali che hanno lasciato segni indelebili.

L’eroina non è mai morta, seppure depotenziata e archiviata tra le morti sociali alla pari di tante morti “cliniche” frutto di avvelenamenti dell’ambiente, ad esempio, o di quelle a trasmissione sessuale, o di malasanità che è una specie di ossimoro e di cacofonia.

Ma anche l’allarme Aids che prese il testimone all’eroina come nuova “peste” del secolo al nascere degli anni ottanta, ebbe l’eroina almeno in qualità di madre, visto che la trasmissione oltre che per “paternità” sessuale aveva il suo secondo grande canale nello scambio di siringhe infette tra tossicodipendenze. Ed oggi ecco il meritorio progetto Geoverdose, per non abbassare la guardia, mai, capire e agire, si spera.