Mesi di torture e sevizie da parte dei genitori perché gay. È quanto accertato dalla Polizia di Stato a seguito di una denuncia di un ragazzino 14enne della provincia di Napoli, costretto a vivere nel terrore a causa dei ripetuti atti di violenza riservatigli dai genitori che a suon di pugni, calci, schiaffi e minacce di morte lo inducevano ad ‘essere normale’.

L’esposto di Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Help Line, effettuato con il supporto legale di Arcigay Napoli, porta alla luce l’ennesimo caso d’estrema violenza ai danni di un ragazzo omosessuale il cui orientamento non è tollerato dalla famiglia.

Il pronto intervento delle forze dell’ordine, coadiuvate dal supporto del Miur e dell’Oscad (Osservatorio contro le discriminazioni della polizia di stato), hanno evitato la tragedia, sfiorata peraltro a seguito del tentativo dei genitori di dare fuoco al ragazzino cospargendolo di benzina.

L’odissea della comunità LGBT si arricchisce quotidianamente di episodi al limite del paradossale, come quello accaduto a Danilo Giuffrida, 35enne che subì l’iter di sospensione della patente di guida a seguito della dichiarazione d’omosessualità effettuata durante la visita di leva che lo indicava come ‘privo dei requisiti psicofisici adatti’.

È di pochi giorni fa la notizia del risarcimento danni di 100mila euro inflltto dalla Cassazione nei confronti del Ministero della Difesa e dei Trasporti, ribaltando la sentenza d’appello che aveva ridotto l’ammontare del risarcimento a 20mila euro.

La sentenza suona come un monito diretto agli apparati di un sistema che troppo spesso continua a dileggiare gli individui discriminati a causa delle loro attitudini sessuali, costringendoli a sopportare le condotte intollerabili di coloro che dovrebbero difendere i principi costituzionali volti a tutelare gli individui nella propria integrità morale e nell’esercizio dei diritti ascrivibili alla personalità.

Il paradosso della diversità ai tempi della globalizzazione

Essere omosessuale oggi significa ancora essere diverso. Le lotte per i diritti LGBT non trovano immediata applicazione nel tessuto sociale, intriso da una patina che traccia la linea di demarcazione tra il normale e il diverso, ricavato in negativo dal blocco formato delle tendenze maggioritarie: diverso è dunque lo straniero, portatore attivo di etnia e cultura difforme, diverso è l’omosessuale, ‘malato d’attrazione’ nei riguardi dei simili, diverso è il disabile, il barbone ecc.

Il paradosso della globalizzazione è costituito dalla formazione di blocchi monolitici d’ idee e tendenze che, lungi dall’essere un mezzo d’integrazione e condivisione, hanno sortito l’effetto d’inquadrare un nemico comune ostracizzando tutto ciò che si distaccava per indole o sviluppo dai fili della tradizione conservatrice, arroccatasi in difesa del privilegio di essere la fazione di maggioranza con solide basi storico-politiche.

Tuttavia, la costruzione di questo feticcio nasconde l’incapacità della politica stessa a rapportare il processo evolutivo ad una lettura critica del presente il cui suolo, di contro, risulta occupato dal bigotto conservatorismo attento a non far filtrare strascichi d’innovazione socio-culturale che potrebbero minare le sicurezze acquisite nel corso del lungo periodo.

Ne risulta l’intreccio passivo di comunità rigorosamente autoriferite costrette a convivere in un terreno ostico alle minoranze, in cui il tentativo sporadico d’integrazione, operato violentemente dalle istituzioni, si traduce in un nulla di fatto.

Le motivazioni della sconfitta vanno ricercate nell’assenza di una legittimazione condivisa, di una pulsione uguale e contraria che avvicini le opposizioni. Considerando il magmatismo societario come un flusso continuo che manifesta bisogni differenti in relazione ai tempi storici, il discriminante diventa il principio di effettività, ovvero l’accettazione di una regola che incarni le necessità avvertite in dati momenti. La mancanza di tale esigenza fa decadere tutto il procedimento e la norma, non collegandosi ad imminenti bisogni, non è recepita dal tessuto societario.

Nella lotta alla diseguaglianza il peso si sposta in capo ad un progetto politico che faccia percepire la necessità dei pari diritti e delle pari opportunità di individui accomunati da un unico grande tratto d’uguaglianza: la diversità. Ruotando la prospettiva, il termine ‘lotta’ non sarebbe più sinonimo di ‘attacco’, ma di ‘percorso’ animato da un bisogno univoco che converga in una regola rispettata perché percepita come giusta, e dunque il progetto politico diverrebbe una macchina educativa, sterzando decisamente nella direzione di una maggiore equità e giustizia sociale.