E’ lunedì 5 Marzo 2018 ed è appena stato conseguito un risultato storico per il movimento capeggiato dal politico Di Maio. Ora, però, dopo i bandi e le promesse viene il “momento del giudizio”.

Gli italiani, recatisi alle urne, hanno optato per il voto “pentastellato” che ha offerto, fin dalle prime battute della campagna elettorale, il famigerato reddito di cittadinanza. Quest’ultimo, in sostanza, è un introito minimo garantito devoluto a tutti coloro che non hanno un lavoro o a chi guadagna uno stipendio molto basso.

L’evento che ha creato scalpore nelle ultime ore è quello del comune barese di Giovinazzo (ma ora esteso anche ad altre zone della Puglia e della Basilicata) nel quale un gruppo di gente, in coda fuori dal Caf, ha richiesto i moduli (o più semplicemente qualche informazione) per effettuare questa domanda.

Anche a Bari, fuori da “Porta Futuro”, la fila di richiedenti, come affermato dal Caf regionale, era curiosa e desiderosa di ottenere la possibilità di usufruire del servizio.

La riflessione sulla quale s’è soffermato anche il responsabile barese, Franco Lacarra, e che spaventa più di tutto è quella della presenza dei molti giovani che hanno avanzato questo tipo di richiesta.

Come si può usufruire di un reddito di cittadinanza se non si produce il denaro necessario?

Secondo la Costituzione italiana, nel suo primo articolo, il nostro Paese è una Repubblica fondata sul lavoro. Partendo quindi dal presupposto che questo documento sia alla base di ogni promessa, decisione e dovere, l’impegno preso dal movimento 5 stelle è molto ambizioso, quasi ai limiti della costituzionalità.

Al giorno d’oggi il modello seguito per effettuare scelte ed innovazioni è quello delle altre nazioni europee. In tutta l’Ue è presente infatti questo tipo di “agevolazione”. La differenza è data da un criterio ponderato, logico e chiaro, elemento che, ad oggi, non si riscontra nella proposta del M5S a giudicare dalla confusione creatasi all'esterno dei Caf.

Secondo l’ipotetico disegno del partito “vincitore”, infatti, a trarne beneficio sarebbero tutti i cittadini italiani che abbiano raggiunto la maggior età. Questo poi varierebbe a seconda della composizione del nucleo famigliare del singolo. Questa proposta, depositata nella legislatura passata, prevedeva un tetto di spesa (secondo simulazione Istat) di 14 miliardi, perentoriamente smentita dal professor Roberto Perotti che ha effettuato uno studio in base al quale ne servirebbero almeno il doppio (29 miliardi).

Il problema basilare di questa innovativa quanto controversa erogazione monetaria è di due tipi: da un lato, infatti, i soldi spesi per attuarla sarebbero a “fondo perduto” e in secondo luogo coloro che lavorano dovrebbero farlo in maniera più massiccia per produrre quella “ricchezza” poi devoluta a chi un reddito minimo non lo raggiunge.

il vantaggio apparentemente sembra quello di aiutare i meno abbienti a vivere una vita dignitosa, ma in sostanza questo potrebbe causare una grave conseguenza. Ci sarebbero sempre meno persone alla ricerca di un lavoro sapendo che, a prescindere, otterrebbero un guadagno fisso. E questo risvolto potrebbe costituire la punta di un grande iceberg in grado di affondare un Paese che, ad oggi, necessita di un incentivo per rialzarsi, un progetto che crei nuovi posti di lavoro e ricircolo di moneta.